By: lutrom on Sabato 03 Gennaio 2015 14:10
Premesso che dell'articolo da cui prendo questo pezzo qui sotto non condivido tutto (ripeto: NON CONDIVIDO TUTTO), però noto che ci sono INTERESSANTI spunti di riflessione (soprattutto, appunto, quelli incollati qui sotto).
-----------------------------
L’ideologia renziana all’attacco del pubblico impiego (per leggere tutto l'articolo ^clicca qui...#http://linkis.com/repubblica.it/sbR0q^)
[...]
Il meccanismo culturale che porta le classi meno abbienti a sbranarsi politicamente e culturalmente a vicenda, sgretolando ogni brandello residuo di solidarietà tra onesti lavoratori, è stato illustrato in modo magistrale già da tempo da Alessandro Robecchi, che fa i conti con un imprescindibile “dato ideologico” (grassetti miei):
“la vera vittoria del renzismo - scrive Robecchi - [è] aver trasferito l’invidia sociale ai piani bassi della società. Quella che una volta si chiamava lotta di classe (l’operaio con la Panda contro il padrone con la Ferrari) e che la destra si affannava a chiamare “invidia sociale“, ora si è trasferita alle classi più basse (il precario con la bici contro l’avido e privilegiato statale con la Panda). Insomma, mentre le posizioni apicali non le tocca nessuno (né per gli ottanta euro, né per altre riforme economiche è stato preso qualcosa ai più ricchi), si è alimentata una feroce guerra tra poveri. Una costante corsa al ribasso che avrà effetti devastanti. Perché se oggi un precario può dire al dipendente pubblico che è privilegiato, domani uno che muore di fame potrà indicare un precario come “fortunato”, e via così, sempre scavando in fondo al barile. Si tratta esattamente, perfettamente, di un’ideologia”.
Sul palco di questo teatrino ideologico dove i pupi sono spinti a darsi randellate a vicenda, gli unici che non sono esposti ai fischi e al lancio di pomodori sono i burattinai che restano dietro le quinte a custodire l’ideologia: i finanzieri con la residenza fiscale all’estero che pontificano alla Leopolda contro il diritto di sciopero, i banchieri che tappano i loro buchi privati di bilancio grazie ai miliardi erogati con decretazione d’urgenza, le multinazionali che fanno profitti in Italia ma li fanno tassare in altri paesi grazie a quel legalissimo e convenientissimo gioco delle tre carte chiamato elusione fiscale, i vip alla Ezio Greggio che portano in dote a Montecarlo i profitti maturati nella televisione italiana, i faccendieri alla Briatore che si spacciano per grandi capitani d’industria con “sogni” e visioni innovative mentre sono semplicemente degli ex latitanti con conoscenze altolocate.
Il dibattito sul diritto di licenziare i dipendenti pubblici come ultima frontiera verso l’uguaglianza dei diritti (negandoli a tutti in egual misura) si preannuncia come intenso e appassionante. Ma prima di affrontarlo, fermiamoci un attimo a riflettere su altri dibattiti già persi in passato. Com’è finito il dibattito sul precariato? Con Maroni che approva la legge sedicente “Biagi”. Com’è finito il dibattito sulle pensioni? Con la Fornero che alza l’età pensionabile. Com’è finito il dibattito sulla macelleria sociale? Con l’aumento di Monti dell’Iva e delle accise per non toccare profitti finanziari, patrimoni e redditi milionari. Com’è finito il dibattito sull’articolo diciotto? Con Renzi che lo rottama dipingendo una tutela come privilegio. [...]