By: giorgiofra on Mercoledì 21 Agosto 2013 19:32
Il nero in Italia si può dividere in ben determinate categorie.
1) Piccole attività marginali e redditi minimi da secondo lavoro.
2) Attività artigianali con fatturati minimi e che non necessitano di una sede fissa.
3) Attività commerciali e locali pubblici, ma solo in modo piuttosto limitato.
4) Liberi professionisti, in particolare medici, dentisti ed avvocati.
5) Criminalità organizzata.
6) Multinazionali.
Proviamo ad analizzare ogni singola categoria.
Le piccole attività marginali sono svolte prevalentemente da disoccupati che, in qualche modo, debbono portare la pagnotta a casa. I loro redditi non superano quasi mai lo stretto necessario alla sopravvivenza. Questi, se potessero, sarebbero felici di avere un lavoro regolare, con tanto di busta paga, assegni familiari, ferie, malattia, contributi. Purtroppo, ora più che mai, essere assunti è diventato arduo, sopratutto se si hanno più di 50 anni, o se non si è particolarmente qualificati, o ancora se si vive in zone notoriamente depresse. Ci sono poi quelli che svolgono un secondo lavoro, ma nella realtà traggono da esso poche centinaia di euro al mese. C'è la sartina che lavora in casa, la badante a 500 euro al mese, la casalinga che fa le pulizie a ore o che si prende cura dei bambini dei vicini che lavorano.
I redditi di questa categoria sono talmente esigui che pretendere la regolarizzazione della posizione, sia a livello contributivo che fiscale, sarebbe immorale, oltre che assurdo. Infatti lo stato mai, da queste persone, prenderà nulla, così come accade in ogni altro paese del mondo, Stati Uniti compresi.
La seconda categoria è composta da piccoli artigiani, come imbianchini, idraulici, muratori, falegnami, che lavorano in nero, ed i cui redditi sono limitati dal fatto di poter fare esclusivamente piccoli lavori ai privati. Per lavori più importanti occorrono certificazioni di vario tipo di cui, questa categoria, non dispone. Da questa categoria lo stato potrebbe ricavare qualcosa, ma meno di quanto si creda.
La terza categoria è composta dai commercianti e dai locali pubblici. In questo caso la percentuale di nero è estremamente limitata, non fosse altro che occorre rispettare gli studi di settore, per cui i margini di manovra sono molto limitati. E' vero che basta omettere il 5% degli scontrini per dimezzare l'utile netto imponibile, ma è anche vero che questa pratica determina la convenienza a continuare l'attività. Se si dichiarasse tutto, al netto delle tasse spesso non si riuscirebbe a portare lo stipendio a casa. Sempre che qualcuno non creda che ci sia gente disposta a lavorare per la gloria. A parte i grossi commercianti, la gran parte delle attività commerciali in questo momento sopravvive a malapena. E posso assicurare che la gran parte di loro, semmai fosse possibile trovare un lavoro come dipendente, chiuderebbe immediatamente. Una serrata lotta all'evasione porterebbe ad una ecatombe delle attività, con conseguente diminuzione di gettito ed aumento della disoccupazione. Pochi prendono in considerazione il fatto che una certa percentuale di nero è lo strumento usato per portare la pressione fiscale reale a livelli sostenibili. Senza questo nero il peso del fisco sarebbe insostenibile.
Nella quarta categoria si annida la vera evasione. Intendo dire che i redditi di queste categorie sono sufficientemente elevati da consentire il pagamento delle imposte ed una esistenza agiata. Spesso un medico dispone già del suo buon stipendio in ospedale, e le visite private che effettua portano reddito aggiuntivo. Anche lasciando il 50% allo stato, il reddito residuo consentirebbe una vita da benestanti. Per questo l'evasione di questa categoria è da condannare, ed è su di loro che si dovrebbe concentrare la lotta all'evasione.
Si annovera la criminalità come fonte di redditi in nero di notevole entità. Si tratta, a mio parere, di un grave errore. I redditi della criminalità organizzata non vanno perseguiti a livello fiscale, data la loro natura. Quelli che sono considerati redditi sono frutto di predazione. Questi redditi non vanno tassati. Se lo stato facesse il suo dovere, questi redditi non dovrebbero esistere, semplicemente. La semplice idea che lo stato voglia tassare i redditi della criminalità organizzata, quasi legittimandoli, mi lascia sgomento. Uno stato serio non tollererebbe l'esistenza della criminalità organizzata. E se la criminalità organizzata non esistesse, non esisterebbero i suoi redditi. Inserire tali redditi nel computo complessivo del sommerso di un paese vuol dire prendere per i fondelli la gente.
Il frutto di un'estorsione non si può considerare reddito, per cui non va tassato ma confiscato, o, meglio ancora, non dovrebbe semplicemente esistere. Il piccolo spacciatore si può mettere in galera, ma pensare di tassarlo è assurdo. I frutto della sua attività lo consuma per vivere. E uno che pratica lo spaccio di droga, secondo voi, si preoccupa dell'accertamento fiscale?
L'ultima categoria è composta dalle multinazionali e dalle banche. Poichè sono queste entità che controllano lo stato, e non viceversa, è ragionevole aspettarsi che continueranno a pagare tasse esigue, non superiori a quelle che attualmente pagano.
In conclusione: la quantità di redditi non tassati potrebbe anche corrispondere alle cifre sbandierate. Ma credere di poter trasformare questa massa in imponibile è semplicemente folle. Lo so io. lo sapete voi, lo sanno i governanti.
Credo che, anche con una serrata e seria lotta all'evasione fiscale lo stato non potrà che racimolare una trentina di miliardi. Considerando l'aumento del debito pubblico in un anno, è evidente che da questa tanto sbandierata lotta all'evasione fiscale lo stato non ricaverà quanto occorre alle sue necessità. Ergo, lo stato fallirà. Sempre che non venga tagliata la spesa pubblica, stimolata la crescita, abbattuti gli interessi sul debito, stampata moneta.
L'autunno prossimo molti nodi verranno al pettine. Credo che ne vedremo delle belle.