By: Moderatore on Mercoledì 17 Dicembre 2003 18:13
-----E dietro quel fondo Epicurum spunta la stessa società alimentare
Mario Gerevini mgerevini@corriere.it -----
MILANO - È vero o non è vero che il fondo Epicurum, il casus belli della crisi Parmalat, è un mistero emerso solo nelle ultime settimane? Non è vero. È vero che l’avvocato della Parmalat, Gian Paolo Zini, ha avuto un ruolo marginale? Non è vero. È vero che la Bonlat, la cassaforte del gruppo domiciliata alle isole Cayman, ha il 10,5% del capitale di Epicurum? È vero. È vero che la direzione finanza ha rappresentato agli organi interni della società, fin quasi all’ultimo, una situazione rosea? È vero. Voci? No: carteggi, documenti riservati, contratti, lettere che da Cayman a New York e da New York a Collecchio ricostruiscono alcuni dei passaggi più enigmatici della vicenda Parmalat. Prima, però, occorre inquadrare il caso Epicurum: è un fondo delle isole Cayman nel quale il gruppo, tramite la controllata Bonlat, ha investito quasi 500 milioni di euro, una fetta consistente della (presunta) liquidità. Se n’è saputo qualcosa solo a inizio novembre per i rilievi mossi dai revisori sulla sua valutazione in bilancio. Poi i dubbi che fosse emanazione del gruppo, le smentite, l’annuncio di uscita ma Epicurum va in liquidazione e i 500 milioni sono congelati.
CHI SAPEVA DI EPICURUM? - Lo sapevano pressoché tutti alla Parmalat di quello strano movimento alle Cayman: i revisori della Grant Thornton, che certifica Bonlat, ma anche quelli della Deloitte, il collegio sindacale, il consiglio di amministrazione e lo sapevano ben prima di chiudere il bilancio 2002. Ma in quel documento non c’è traccia di Epicurum se non in un’anonima voce contabile onnicomprensiva. Eppure a qualcuno in consiglio non piacque l’operazione che fu anche oggetto di un’istruttoria da parte dei revisori su richiesta del collegio sindacale. Si accese il faro su Epicurum ma i revisori non andarono a fondo per porsi il problema che, con un ritardo di sette-otto mesi, si è posta la Deloitte nella semestrale.
ZINI «PADRE» COSTITUENTE - Un mese fa, quando venne alla ribalta il caso Epicurum, l’avvocato Zini s’affrettò a precisare che lui c’entrava poco. Sì, disse all’Ansa, «ho assistito Parmalat per l’investimento», precisando però che i legami di consulenza con il fondo furono successivi alla scelta del gruppo di investirvi. E, aggiunse, se la Bonlat ha lo stesso domicilio di Epicurum è solo un caso. Eppure ci sono svariati documenti interni del gruppo nei quali si dice che «l’avvocato Zini ha curato la costituzione del fondo Epicurum». E carteggi nei quali viene richiesto a Zini, in qualità di legale dei fondatori, un quadro giuridico sull’operazione. Per tutti era lui il depositario di informazioni chiave.
IL 10,5% DI BONLAT - E poi c’è un altro elemento che rafforza il legame tra il gruppo e il fondo delle Cayman: Bonlat sottoscrisse il 10,5% del capitale Epicurum (50 milioni di dollari). Gli investimenti (quasi 500 milioni di euro) avvennero in tre tappe tra settembre e dicembre 2002. Con queste modalità: Bonlat girava al fondo titoli di varia natura che aveva in portafoglio e in cambio otteneva certificati azionari che rappresentavano quote del fondo. Si può supporre (ma non è chiaro dai documenti ) che nel patrimonio gestito da Epicurum ci siano quei titoli che gli ha conferito Bonlat, di cui non si conosce la natura e tanto meno il grado di liquidabilità. Se così fosse, avrebbe tutta l’aria di essere una partita di giro. C’è molto di Collecchio, molto più di quanto dichiarato ufficialmente, in questo fondo che «scotta».
I SILENZI IN COMITATO - Alla Parmalat, fino a un mese fa, hanno dormito tutti? O hanno fatto finta di niente? O non hanno capito la gravità della situazione? Forse tutto insieme. Ma per capire il clima, prima della tempesta, c’è un’istruttiva riunione del comitato per il controllo interno (organo ristretto del consiglio) che a giugno chiama a rapporto Alberto Ferraris (allora direttore generale finanza) e Luciano Del Soldato (direttore generale amministrazione e controllo). Lo scenario è da mare piatto al tramonto. La liquidità? «Serve a far fronte alle scadenze finanziarie fino al 2005 ma nel frattempo sarà ridotta di 900 milioni». Operazioni speculative? Assolutamente no: «La gestione della finanza è esclusivamente al servizio dell’industria». Obiettivi? «Equilibrato rapporto mezzi propri-debiti finanziari, ridurre gli oneri finanziari, aumentare il valore dell’azione Parmalat in Borsa». Ad ascoltare, evidentemente rassicurati, Luciano Silingardi (presidente del comitato), Francesco Giuffredi e Fausto Tonna.