30 mila piccole aziende italiane in perdita per dei derivati - gz
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By: GZ on Lunedì 11 Ottobre 2004 15:47
Almeno 30 mila piccole aziende italiane sono ^in perdita per dei derivati sui tassi di interesse e i cambi che hanno comprato dalle banche negli ultimi due anni#http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=PUA5^.
Lavorano per produrre la macchina ed esportarla in germania o canada o india e poi si mangiano i soldi perchè sono ignoranti di mercati finanziari.
(".... Le aziende italiane negli ultimi due-tre anni li hanno sottoscritti in massa.....Purtroppo, però, i fatti non hanno corrisposto alle previsioni. Il dollaro non è salito e i tassi nemmeno, anzi, si sono dimezzati: dall'ottobre 2000 a oggi - in quattro anni - l'Euribor a 6 mesi è sceso dal 5,2%......«Una situazione anomala - fanno notare in Unicredit..... -. Per la prima volta nella storia d'Italia il dollaro è debole, lo stesso i tassi. Nessuno lo avrebbe creduto un anno e mezzo fa».....")
Nessuno ? Davvero ? Le varie Goldman, Lehman, e centinaia di hedge fund esteri hanno capito che il dollaro scendeva e i tassi scendevano e guadagnato miliardi e da dove sono venuti i loro profitti ? Dagli imprenditori padani che si fanno rifilare dei derivati sui tassi e i cambi di cui non capisconono molto.
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30 mila aziende sono in perdita. Paola Pierri di Ubm: «Errori sì, ma la maggioranza dei collocamenti è stata fatta bene»
^Derivati, le banche di nuovo sotto accusa#http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=PUA5^
- di Alessandra Puato, www.corriere.it
L’imputazione: hanno spinto per vendere prodotti finanziari rischiosi alle piccole imprese. La difesa: i clienti erano consapevoli del rischio
Le banche «hanno sbagliato. Hanno proposto strumenti complessi ad aziende molto piccole. Hanno spinto. Hanno privilegiato il risultato a breve rispetto al rapporto con il cliente. Ora le perdite pesano. E le imprese minori sono le più colpite». Chi parla è Emanuele Facile, consulente di banche e aziende. Ex Ernst & Young, Dresdner Bank, Sige, At Kearney, è amministratore delegato, con Maurizio Belli, di Financial Innovations, la società indipendente uscita un anno fa dalla pancia di Cardine, che ha per clienti un centinaio di imprese fra l'Emilia Romagna e il Nordest e diverse banche di medie dimensioni.
Emanuele Facile si riferisce al nuovo scandalo nazionale: la bolla dei derivati. Una storia tutta italiana, che sta trascinando il sistema finanziario sul banco degli imputati un'altra volta, dopo i casi di Cirio, Parmalat e dell’Argentina. Ma questa volta a lamentarsi sono le imprese, non i privati.
Circa trentamila le aziende a rischio in quanto titolari di derivati in rosso, stima Financial Innovations in base ai dati della Banca d'Italia e ai bilanci del campione Unicredit, Bnl, Intesa, SanPaolo-Imi, Mps, Popolare Verona e Novara, Popolare di Vicenza. Con perdite fino al 5% del capitale sul quale è stato stipulato il contratto e casi limite anche di cinquecentomila euro di perdite per imprese con 10 milioni di euro di fatturato. Una vicenda sulla quale l’Abi, l’Associazione bancaria italiana, annuncia ora: «Stiamo avviando una riflessione».
La denuncia arriva a due settimane dal monito di Antonio Fazio alle banche: «Avanzamenti sono ancora necessari sul piano dell’efficienza, dei rapporti con l'utenza, della tutela dei risparmiatori», aveva detto il governatore della Banca d'Italia. Si difendono le banche: errori sporadici, imprese consapevoli. Nessuna vuole però commentare direttamente: l’eccezione è Unicredit, quindicimila imprese clienti nei derivati e una decina di cause intentate, finora vinte dall'istituto. «Sostenere che non siano stati commessi errori è una sciocchezza - dicono all’istituto - ma la grandissima parte di questi prodotti è stata collocata bene. Rifiutiamo l'idea che gli imprenditori italiani, tanto abili nel produrre e vendere sui mercati esteri, vadano considerati incapaci nelle scelte finanziarie».
L'accusa è infatti quella di aver piazzato prodotti rischiosi senza spiegarli: i derivati complessi sul rischio tassi e cambi. Perciò è stata avviata dalla Commissione Finanze alla Camera, il 23 settembre, un'indagine conoscitiva, dove si sottolineano i «problemi relativi alla loro gestione ed utilizzazione». E mentre l’Abi si prepara, con l’annunciata «riflessione sul tema», all’audizione parlamentare, dalla Consob è partita una verifica ricognitiva.
I derivati sono quei prodotti che ti garantiscono, se i tassi o il dollaro salgono, che non perderai un quattrino, benché il tuo finanziamento sia a tasso variabile e in euro. Ma in caso contrario, sei tu a dover pagare. Le aziende italiane negli ultimi due-tre anni li hanno sottoscritti in massa, anche per garantirsi quei finanziamenti diventati più difficili dopo la stretta al credito minacciata da Basilea 2. Mentre le banche, sull'onda del capostipite Unicredit che cominciò a proporre i derivati alle imprese nel 1998-99, hanno dedicato a questa nuova area di business sempre più forze: «Sono nati promotori dedicati», dicono Facile e Belli. Parecchi. Si parla di cinque-sei persone per banche di dimensioni medie, sui 700 sportelli, e di almeno una cinquantina per un istituto grande, con 3-4 mila sportelli.
Purtroppo, però, i fatti non hanno corrisposto alle previsioni. Il dollaro non è salito e i tassi nemmeno, anzi, si sono dimezzati: dall'ottobre 2000 a oggi - in quattro anni - l'Euribor a 6 mesi è sceso dal 5,2% al 2,2%, il tasso Swap a 2 anni dal 5,2% al 2,5%, quello a 5 anni dal 5,5% al 3,5%. «Una situazione anomala - fanno notare in Unicredit, che in base all'ultima semestrale risulta avere fortemente ridotto la gestione dei rischi della clientela corporate, 244 milioni di euro contro i 472 del primo semestre 2003 -. Per la prima volta nella storia d'Italia il dollaro è debole, lo stesso i tassi. Nessuno lo avrebbe creduto un anno e mezzo fa».
Nell’istituto guidato da Alessandro Profumo fanno notare: «Comunque, il costo di copertura non è una perdita». E Paola Pierri, direttore generale di Unicredit Banca Mobiliare, usa una metafora: «Se ho una polizza antincendio, non spero per questo che la mia casa vada a fuoco». Inoltre, in Unicredit sottolineano come l'attività di vendita dei loro promotori sia da un anno e mezzo monitorata tutti i giorni, con report su quantità, qualità, congruità dell'operazione. «I reclami sono su contratti vecchi».
Fatto sta che le aziende italiane, notoriamente indebitate sul breve periodo e sensibili, da esportatrici, alle variazioni del dollaro, sono andate in rosso. «Il fenomeno è stato rapidissimo», dice Facile. E ingente: nell’ultimo semestre 2003, stando alla Banca d’Italia, i derivati sui tassi d’interesse sono aumentati a valore del 19% rispetto al gennaio-giugno 2003, con prodotti destinati a imprese o enti pubblici per 262,3 miliardi di dollari. «Nell'ultimo anno sono esplose le perdite», dice Emanuele Facile. Perdite che non sono visibili nei bilanci, perché non è obbligatorio dichiararle. Si vedranno dal primo gennaio prossimo, quando entrerà in vigore, in recepimento delle direttive Ue (lo Ias 39), il decreto 394 del 2003, che impone la registrazione, in nota integrativa, dei derivati, al valore di mercato. Una rivoluzione: come l'ingresso, sempre da gennaio, dei derivati in Centrale dei rischi.
Due le responsabilità attribuite alle banche: una è l'accelerazione del rischio con il collocamento di ulteriori derivati sui derivati: «A fronte delle perdite che si accumulavano, le banche hanno proposto alle imprese altri prodotti finanziari, più sofisticati, con i quali all'inizio non si paga, anzi, si incassa», dice Facile. Prodotti come l’Atlantic Swap e l’Extra Swap di Unicredit Banca d'Impresa.
L'altra imputazione è la pressione sulle aziende. «Proporre la copertura sui rischi è una prassi corretta, ma negli ultimi due anni qualche banca, in modo informale, ha usato questa leva per la concessione del credito. Quando un'azienda chiede un finanziamento spesso è in condizioni di debolezza». «Per quanto ci riguarda, noi non abbiamo esercitato alcuna pressione - ribatte Unicredit -. Perderemmo i clienti se li ricattassimo». I due consulenti non danno però la colpa soltanto agli istituti di credito. «Ci sono stati comportamenti scorretti e approssimativi da un lato e dall'altro - ammettono -. Le aziende, questi prodotti, spesso li hanno chiesti, in logica speculativa. C'è un'evidente mancanza di cultura finanziaria». Una tesi che vede d'accordo Stefano Caselli, docente di Economia degli intermediari finanziari in Bocconi. «Le imprese hanno dimostrato una pericolosa carenza di conoscenza», dice il professore. Ma aggiunge: «Non c'è dubbio che le banche abbiano spinto in modo indiscriminato sui derivati, che consentono commissioni elevate in tempi rapidi. Il derivato ha una sua funzionalità, ma va venduto tenendo conto del profilo di rischio dell'azienda». Parmalat docet.