By: Moderatore on Sabato 27 Dicembre 2003 20:10
Situazione complicata ma non seria
Europa disunita verso l’allargamento. Ma la formula «rigidità sociali-economia in nero» in realtà funziona bene. ^Parola di David Roche#http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=TAINO3^
L a parte politica della commedia è un disastro: su questo giudizio i critici hanno raggiunto l’unanimità. L’Europa andata in scena nel 2003, tra una cancelleria e l’altra, non è mai stata recitata peggio. L’Unione europea si è divisa drammaticamente sulla questione della guerra in Iraq. La Svezia ha votato in un referendum di restare fuori dall’euro. La Gran Bretagna ha rinviato a data da destinarsi il suo referendum sulla stessa questione: Tony Blair, da sempre favorevole all’ingresso della sterlina nella moneta unica, lo perderebbe in misura umiliante. Da Parigi e Berlino, Jacques Chirac e Gerhard Schröder hanno fatto carne di porco del Patto di Stabilità. Sulla nuova Costituzione, i 15 più 10 hanno sbattuto la testa contro il muro e ora si naviga a vista. Annus horribilis . E crisi a tutto campo.
Sul piano economico, verrebbe da dire, le cose vanno allo stesso modo. La crescita di Eurolandia, quest’anno, sarà attorno a un misero 0,5% del Prodotto interno lordo (Pil) e ci si aspetta che nel 2004 non superi il 2%. L’euro forte tiene sveglia la notte gran parte degli industriali europei. L’economia del pianeta funziona in questa fase a due motori, quello americano e quello cinese, e il Vecchio Continente è incapace di influire su questo asse economico, finanziario e politico.
Tutto sembra insomma andare malissimo, nella terra dell’euro.
In realtà, tra gli economisti sta nascendo una scuola di pensiero che non vede il destino dell’Europa così nero. «In un mondo di incertezza, l’architettura sociale dell’Europa rafforza la stabilità», dice per prima cosa David Roche, un economista presidente della londinese Independent Strategy e da sempre un critico delle rigidità dei Paesi europei. Secondo questa corrente di analisi, non siamo in una condizione ideale ma, in qualche modo, anche poco ortodosso, le cose funzionano.
Le riforme tentate finora per ridurre le rigidità e l’invadenza dello Stato - obiettivi a parole condivisi da tutta la Ue - non sono state gran cosa ma almeno sono iniziate. Negli ultimi anni, l’Italia è intervenuta sul mercato del lavoro in vari modi, ha leggermente modificato il sistema fiscale e ha messo mano alla riforma delle pensioni. La Francia ha incoraggiato il part-time, ha ridotto i contributi sociali per i lavoratori meno qualificati, ha ristrutturato i bilanci della Sanità regionale e le contribuzioni sanitarie, ha ridotto le aliquote della tassazione societaria ed abbassato la scala di quella sui redditi, ha modificato le esenzioni dal pagamento delle tasse e della sicurezza sociale, ha aumentato gli anni di contribuzione per la pensione.
La Germania ha introdotto incentivi per il lavoro temporaneo, ha abbassato i sussidi di disoccupazione e ha reso più severe le norme per riceverli, ha ristrutturato gli uffici di collocamento, ha ridotto i contributi sanitari a carico delle imprese, ha anticipato i tagli alle tasse dal 2005 al 2004, ha ridotto l’aliquota di base dal 20% al 15% e quella massima dal 48,5% al 42%, ha aumentato il numero di esenti dal fisco, ha innalzato l’età pensionabile a 63 anni dal 2008.
Piccoli passi, non molto di più. I governi dei principali Paesi di Eurolandia non hanno fatto quelle riforme che si riteneva fossero obbligatorie dopo la creazione dell’euro per rendere competitiva l’economia. Fanno però il minimo indispensabile sotto la pressione della concorrenza internazionale, cioè sotto la minaccia del fucile a due canne dell’euro forte e della Cina supercompetitiva.
Inoltre, sostiene la scuola dei neo europeisti, l’Europa ha alcune caratteristiche che, in questo mondo, contano molto. Per prima cosa, dice Roche, «le famiglie europee sono ricche come Creso». E i loro patrimoni sono a basso rischio: soprattutto immobili che non hanno i prezzi gonfiati, come nei Paesi anglosassoni, e depositi in banche tutto sommato solide. In più, le famiglie europee sono poco indebitate. Risultato, calcola Independent Strategy, il rapporto tra debito e patrimonio è attorno al 75%, contro il 110% degli Stati Uniti. Sul piano del patrimonio, insomma, la situazione in Europa è solida e, di fronte a un mondo confuso, questo è un elemento di certezza. Ma anche di ingessatura, si dice sempre: le economie europee sono tutto meno che dinamiche. È proprio così, si chiedono i neo europeisti? E’ proprio vero che il peso dello Stato (che si avvicina al 50% del Pil) e le rigidità sono i serial killer degli spiriti innovativi del Vecchio Continente?
No, è la risposta della nuova scuola di pensiero. Una parte dell’economia efficiente c’è: è quella non ufficiale, sommersa. Nei paesi ricchi dell’Ocse, questa economia in nero è il 17% di quella totale ma, mentre negli Stati Uniti è solo il 9%, in Europa è alta (in Italia, ad esempio, arriva al 27%). Per dire: quando un lavoratore tedesco perde il lavoro, guadagna 700 euro al mese di sussidi pubblici. Il fatto è che nella gran parte dei casi non smette però di lavorare. Anzi, se può lavora di più perché sul nero non paga un euro di tasse (e chi lo impiega non paga contributi o Iva). Questa pratica, benissimo conosciuta e sperimentata in Italia, ormai è diffusa in tutta Eurolandia. «E più alto è il peso delle tasse in un Paese, più alta è la quota dell’economia in nero», dice Roche: è l’economia che autonomamente reagisce alle tasse troppo alte, ai vincoli troppo rigidi e a una classe politica che non fa le riforme fino a quando non è costretta.
Secondo Independent Strategy, negli Anni Novanta l’economia sommersa europea è cresciuta del 50%: più del doppio della crescita ufficiale del Pil. Se si calcola, dunque, che la parte «non ufficiale» dell’economia pesi ormai tra il 25% e il 30% del totale, si arriva a un Pil di Eurolandia pari a novemila miliardi di dollari, la spesa degli Stati scende da quasi il 50% al 40% del Pil, i deficit di bilancio calano al 2,5% del Pil e il debito pubblico crolla al 45%. Il tasso di disoccupazione ufficiale, inoltre, non ha più senso di essere guardato.
Gli spiriti animali del capitalismo, insomma, si starebbero ribellando ai lacci dell’Europa: è questa, secondo i neo-europeisti, la vera storia che si recita sul palcoscenico della Ue.