Il Problema è l'Europa

 

  By: antitrader on Lunedì 22 Settembre 2014 18:27

"pure facendo il medesimo lavoro possono essere diametralmente opposte" quello succede SEMPRE in relazione al padrone per cui scrivi. Prendi un qualsiasi scritto sullo stesso armomento di belpietro e Travaglio e vedi. Non so se vi e' mai capitato di assistere dal vivo a un evento poi letto sui giornali, ebbene, nel 100% de casi l'idea che mi sarei fatta solo leggendo sarebbe sta molto ma molto differente dalla realta'. Io condivido in pieno l'idea di Gianlini al punto da non credere piu' manco alle balle che ci hanno raccontato sui nazisti.

 

  By: gianlini on Lunedì 22 Settembre 2014 18:11

shabib, certo che un caffè ce lo possiamo prendere ma in questo momento il mio umore è talmente nero per i mercati che non te lo consiglio....

 

  By: shabib on Lunedì 22 Settembre 2014 18:08

GIAN , non me la sono mai presa con te e mi piacerebbe pure prenderci un caffe' assieme a Milano e parlare , perche' tu sei quell'altra faccia del mondo che e' giusto capire perche ' non e' vero che dici tutte pir.late , tu vedi in modo differente alcune cose. pero' anche gli storici o gli economisti hanno visioni che pure facendo il medesimo lavoro possono essere diametralmente opposte , non credi ?

 

  By: gianlini on Lunedì 22 Settembre 2014 17:57

ho fatto un esempio molto banale, e voi continuate a prendervela con il Gianlini due persone che contemporanee agli eventi scrivono due cose opposte, non mi sembra proprio la prova che sia così semplice fare gli storici

 

  By: shabib on Lunedì 22 Settembre 2014 17:42

mah ! GIANLINI caro , la tua teoria manda all'aria le Universita' di Studi Storici ... e i racconti delle storie delle famiglie ... prima di andare all'universita' e parallelamente a quella , ho avuto dentro la mia famiglia le persone che mi raccontavano le loro esperienze vissute dal 1880 al 1980 , anno in cui ho perso la parte arcaica della mia famiglia ...e spesso chiedevo raffronto con la loro memoria storica per capire se gli storici univeritari la dicevano tutta e giusta ...

 

  By: Ganzo il Magnifico on Lunedì 22 Settembre 2014 17:14

sono estremamente convinto di quello che ho detto, e cioè che non si possa scrivere di epoche storiche non vissute in prima persona ---------------------------------------------------------------------------------------- Allora chissà come sarebbe contento il Rosario Villari se ti leggesse...

Slava Cocaïnii!

 

  By: lutrom on Lunedì 22 Settembre 2014 15:53

FORSE (forse!) la Francia ci salverà.... Negli italiani (idioti) non c'è da sperare... P.S.: comunque ti ricordo, Gano, che è vietato linkare articoli come quello che hai messo qui sotto sulle dichiarazioni antidemocratiche dei maggiori leader europei: potresti essere accusato di rettilianesimo, uno dei maggiori peccati-colpe di questo forum!!!!!!!!!

 

  By: gianlini on Lunedì 22 Settembre 2014 15:48

può darsi che sia indice di scarsa intelligenza Gano, ma sono estremamente convinto di quello che ho detto, e cioè che non si possa scrivere di epoche storiche non vissute in prima persona

 

  By: Ganzo il Magnifico on Lunedì 22 Settembre 2014 15:01

Innanzitutto Pablo complimenti per l' articolo. Quando si parla di paesi prossimi al default aggiungo sempre anche la Francia. Nessuno lo scrive, ma sono messi peggio di noi (questo tanto per dire di come informino i media ufficiali). La crisi francese servirà a risvegliare le coscienze europee. Già Marine Le Pen è davanti a tutti nei sondaggi, e Grillo ha fatto la sua ennesima bischerata ad andare con Farage e non con lei. Sul resto, direi che non esista un padre unico dell' euro. L' euro ha preso la sua fisionomia durante gli anni. Dire che non si può parlare della storia in cui non si è vissuti mi pare una sciocchezza, e sono sicuro che quella di Gianlini sia solo una delle sue solite uscite un po' provocatorie, tanto per aver materia per discutere con Mr. A proposito di padri fondatori dell' euro. Leggetevi questa raccolta di "perle" dei padri più recenti. ^Le radici antidemocratiche dell’Euro nelle parole dei suoi stessi padri fondatori#http://memmttoscana.wordpress.com/2013/04/19/le-radici-antidemocratiche-delleuro-nelle-parole-dei-suoi-stessi-padri-fondatori/^ Roba da fantascienza... ;-)

Slava Cocaïnii!

 

  By: gianlini on Lunedì 22 Settembre 2014 14:13

Pablo qualche giorno fa polemizzavo con MR sul fatto che è possibile scrivere solo relativamente al periodo storico in cui si vive, (e quasi sempre nemmeno di quello) mentre lui sosteneva che basta leggere e si può discutere a ragion veduta di qualsiasi periodo questo articolo è l'esempio lampante che ho ragione... non si riesce nemmeno ad essere d'accordo, a distanza di soli 15 o 20 anni, su chi abbia voluto l'euro!! Bullfin in un altro thread scrive una cinquantina di volte e in maiuscolo perchè sia più chiaro, che l'EURO l'ha voluto la Germania questo giornalista che citi dice invece che l'ha voluto Mitterand : "E' stato il presidente Francois Mitterrand che nel 1989 convinse il cancelliere Helmut Kohl ad eseguire l'unione monetaria in cambio del sostegno francese per la riunificazione tedesca" Delle due l'una, o Bullfin ha ragione e quindi questo articolo non vale nemmeno i bytes in cui è scritto, oppure Bullfin ha torto (e con lui tanti luminari di questo forum)... in ogni caso sull'euro sembra proprio confarsi il sempre valido detto: mater certa, pater nuncam.....

 

  By: pablo on Lunedì 22 Settembre 2014 03:54

Verso il "mondo perfetto", terza parte Fonte: http://finance.fortune.cnn.com/2013/01/09/france-economy-crisis/ "LA CRISI DELL'EURO DI CUI NESSUNO STA PARLANDO: LA FRANCIA E' IN CADUTA LIBERA" di Shawn Tully Data la fiducia degli investitori nel suo debito sovrano, e la sua immagine come principale partner della Germania per robustezza, nella sensibile Eurozona “settentrionale", si potrebbe pensare che la Francia resista come co-custode della moneta unica in via di estinzione. In effetti, il tasso sui titoli di Stato decennali della Francia si attesta solo al 2%, di poco sopra quello della Germania. Da un rapido sguardo ai numeri principali, la Francia non appare, come sottolineato, nel derisorio titolo di "PIIGS", Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Finora, la “traiettoria” dei suoi debiti ed il deficit non sono così “dolorosi” come i dati relativi ai PIIGS, o anche al Regno Unito e agli Stati Uniti. Il ruolo vantato dalla Francia nella creazione e nel successo iniziale dell'euro aumenta la sua aura di solidità. E' stato il presidente Francois Mitterrand che nel 1989 convinse il cancelliere Helmut Kohl ad eseguire l'unione monetaria in cambio del sostegno francese per la riunificazione tedesca. In realtà, la Francia e la Germania, insieme con i Paesi Bassi, hanno drammatizzato il loro impegno in modo efficace aggregando il franco e il marco in un'unione monetaria che ha tenuto i tassi di cambio in una banda stretta, con l’annunciata nascita dell'euro nel 1999. Negli anni del boom, a metà della prima decade del 2000, la Francia ha quasi raggiunto la Germania come motore gemello di una crescita fiorente, di 17 nazioni dell'Eurozona. Uno sguardo più profondo mostra che la Francia è non meno impantanata in una crisi economica. La seconda più grande economia della zona Euro (2012 PIL: 2 trilioni €) soffre più di ogni altro membro per un impressionante deterioramento della competitività. In parole povere, i prodotti della Francia - le sue auto, l’acciaio, l’abbigliamento, l’elettronica - costano troppo da produrre rispetto ai beni dei concorrenti, sia dell’Asia che dei suoi vicini europei, tra cui non solo la Germania, ma anche Spagna e Italia. Questo sta causando un forte e sempre crescente calo delle sue esportazioni, ed un calo significativo nel settore manifatturiero e dei servizi che lo supportano. L'implosione virtuale dell'industria francese è trascurata dagli analisti e dagli esperti che sostengono che la zona Euro ha schivato il disastro ed è entrata in una nuova fase durevole di stabilità. In realtà, è la Francia - non la Grecia o la Spagna - che pone oggi la più grande minaccia per la sopravvivenza dell'Euro. La Francia incarna il vero problema della moneta unica: l'incapacità delle nazioni con costi di produzione elevati e crescenti di adeguare le proprie valute in modo che i loro prodotti possano rimanere competitivi sui mercati mondiali. Fino ad ora, le preoccupazioni per l'Euro si sono concentrate sul pericoloso aumento del debito e del deficit. Ma quei problemi fiscali sono principalmente il risultato di una perdita di competitività. Quando realizzare prodotti costa troppo, l’economia va in stallo o, in realtà, declina, in modo che un aumento anche modesto della spesa pubblica “inonda” con grandi deficit di bilancio e debiti eccessivi. In questa presente, o scenario di crescita negativo, l'immagine è sempre la stessa: l'economia privata si riduce mentre il governo [il debito governativo n.d.t.] continua ad espandersi. Questo è già successo in Italia, Spagna e in altri membri della zona Euro in difficoltà. La differenza è che quelle nazioni stanno adottando riforme strutturali per ripristinare la loro competitività. La Francia non sta facendo niente del genere. Quindi, il suo “sbadigliante” divario di competitività presto creerà una crisi fiscale. E' assolutamente incredibile che un'economia così grande, e così ampiamente rispettata, possa disfarsi così in fretta. Gli investitori del mondo e gli ottimisti della zona Euro dovrebbero risvegliarsi con il pericolo rappresentato dalla Francia. La crise est arivée l[a crisi è arrivata n.d.t.]. Il declino della Francia è meglio illustrato dal rapido deterioramento del suo commercio con l'estero. Nel 1999, la Francia ha venduto circa il 7% delle esportazioni mondiali. Oggi, la cifra è di poco superiore al 3%, ed in caduta rapida. Gli stessi costi elevati che penalizzano le esportazioni disegnano un flusso sempre crescente di merci da Germania, Cina e anche dall'Europa meridionale. Tali importazioni stanno prendendo una quota crescente di vendite dei più costosi prodotti di fabbricazione francese. Nel 2005, la bilancia commerciale della Francia è stata positiva per lo 0,5% del PIL. Oggi, essa segna un meno 2,7% del reddito nazionale, il che significa che ora le importazioni superano di gran lunga le esportazioni, trasformando il commercio da una crescita a un generatore di resistenza maggiore. Un esempio eccellente del divario di competitività è l'abisso tra le esportazioni tedesche e francesi in Cina. La Germania invia 70 miliardi di dollari in automobili, macchine utensili e altri prodotti ogni anno in Cina, sette volte la cifra della Francia. Anche il turismo sta soffrendo a causa dei prezzi elevati della Francia. La Francia sta lottando per attirare clientela con un’impennata, trattativa-ricerca di fette di mercato, di viaggiatori provenienti da Asia, Brasile, India e Russia. Nella metà degli anni 2000, gli stranieri hanno speso 15 miliardi di Euro in più, per visitare gli Champs Elysees e la Riviera, rispetto a quello che i francesi hanno pagato per le vacanze all'estero. Tale eccedenza è scesa di un terzo, a circa 10 miliardi di Euro. La ragione principale per la differenza di costo della Francia è il peso del lavoro, un fattore che solitamente rappresenta circa il 70% di tutte le spese aziendali in tutto il mondo. In Francia, il problema comprende che i salari e i costi sociali sono alti; anche le leggi rigide, le 35 ore settimanali di lavoro consentono ai dipendenti francesi il minor numero di ore di lavoro in tutto il mondo sviluppato. Un sorprendente 86% di tutti i lavoratori dipendenti godono di "contrats un indéterminées durée", contratti a tempo indeterminato che fanno i licenziamenti estremamente costosi e richiedono molto tempo. In Francia, 42 euro per ogni 100 euro di spese totali vanno per gli oneri sociali, contro i 34 euro in Germania, 26 nel Regno Unito, e il 20 negli Stati Uniti. Ovviamente, le leggi restrittive e i sindacati ostili non sono una novità. Quello che sta causando il malessere paralizzante è il recente rapido aumento dei costi del lavoro, mentre i rivali stanno abbassando o moderando il peso della loro forza lavoro. Dal 2005, in Francia il costo unitario del lavoro - il costo di produzione di una sola auto o di una trave in acciaio, per esempio - è salito del 17% rispetto al 10% per la Germania, il 5,8% per la Spagna, e del 2% per l'Irlanda. Oggi, i lavoratori francesi guadagnano in media di 35,3 euro per ora, contro i 25,8 dell’Italia, e i 22 del Regno Unito e in Spagna. Il risultato è un forte calo nella produzione francese e dei servizi che la supportano, tutto dalla consulenza della logistica. I profitti aziendali sono precipitati al 6,5% del PIL, circa il 60% della media della zona euro. Questo perché gli esportatori francesi stanno perdendo quote di mercato, e quelli che sopravvivono devono abbassare i margini per praticare prezzi più competitivi. Di conseguenza, non hanno i fondi per investire in nuovi impianti e tecnologie. La Francia ha ora la metà rispetto alle molte aziende esportatrici della Germania e, sorprendentemente, dell’Italia. Le industrie tedesche beneficiano di 19.000 robot, cinque volte il numero della Francia. Per quanto riguarda la R&S [spesa per ricerca e sviluppo n.d.t.], è sceso del 50% negli ultimi quattro anni. Sorprendentemente, il governo Hollande sta aumentando le entrate, aumentando l'onere per le imprese. Nel mese di settembre, la Francia ha annunciato nuove leggi che limitano le deduzioni per i pagamenti di interessi aziendali e la perdita di riporto-avanti [tecnica contabile n.d.t.], applicando in modo efficace un aumento delle tasse sulle imprese. Tali misure ridurranno i già magri profitti, “arricciando” investimenti futuri. Il divario-costo non sarebbe così dannoso se la Francia si specializzasse in prodotti sofisticati, ad alta marginalità. In effetti, la nazione rimane forte nella moda, nei beni di lusso, e nei prodotti farmaceutici. Ma se queste offerte simboleggiano lo slancio economico della Francia, la nazione è fortemente dipendente dalle macchine, dai tessili, dall’acciaio, dalle apparecchiature di telecomunicazione e altri prodotti-medi a basso margine, che sono estremamente sensibili ai prezzi sui mercati mondiali. "La Francia non è mai stata forte in prodotti di alta fascia, prodotti sofisticati come macchine utensili o apparecchiature informatiche", spiega Jean-Christophe Caffet di Flash Economia a Parigi. "E anche nel settore di alta fascia, si è perso un sacco di quote di mercato in Germania." La Germania, ad esempio, è specializzata in macchine di lusso, Audi, Mercedes e BMW che la gente è disposta a continuare a comprare, anche se i prezzi salgono un po'. Per contro, la Francia fa più economiche Renault e Peugeot, che rischiano di perdere le vendite a favore di Ford o Fiat a meno che i produttori contengano i prezzi - o si accontentino di profitti bassi o inesistenti. E la Francia non reagisce alla crisi incombente nemmeno seguendo la campagna dei suoi vicini di un minor costo del lavoro. La Germania ha fatto passi da gigante alla metà degli anni 2000, con le sue riforme Hartz IV che hanno abbassato gli oneri sociali per le imprese. La Spagna recentemente ha innalzato l'età pensionabile per le pensioni complete da 65 a 67 anni e permette la contrattazione salariale a livello aziendale, un punto di partenza rispetto al sistema centralizzato di imporre aumenti obbligatori di stipendio a livello nazionale. L'Italia sta aumentando gradualmente l'età pensionabile per le donne da 60 a 66 anni nei prossimi sei anni. Ma Francois Hollande, il presidente eletto nel maggio scorso, sta operando molto più tiepidamente. Il governo sta impegnandosi a ridurre solo modestamente gli oneri sociali per le imprese, ma le riforme non si avvieranno fino al 2014, e l’ultima appena di due anni. E' la prospettiva di un futuro senza crescita, un'eredità diretta del problema della competitività, che potrebbe scatenare una crisi fiscale. E' degno di nota che nella metà degli anni ‘90, la Francia ha avuto un tasso di disoccupazione inferiore a quella della Germania, deficit minori, meno debito e PIL, e circa lo stesso tasso di crescita. Tutte queste misure sono ora completamente invertite. Nel 2012, l'economia francese si è espansa di appena lo 0,2%, e il suo tasso di crescita reale, per gli ultimi tre anni è in media 1,2%, meno della metà del 2,7% delle prestazioni della Germania. Per il 2013, il mercato dei titoli francese ODDO fa un caso convincente secondo il quale l'economia effettivamente si ridurrà. Il tasso di disoccupazione è pari a quello più alto degli ultimi 14 anni al 10,9%, e in aumento, rispetto al 6,7% per la Germania. Il Debito pubblico sul PIL si sta avvicinando alla zona di pericolo del 90%, e potrebbe arrivare al 97% nel 2013. Non è che la Francia abbia aumentato la spesa pubblica ad un tasso scandaloso. Il problema è che una nazione con livelli di spesa già elevati e senza crescita è a corto di “spazio” per mantenere alte le spese, ed il debito, del tutto. E' straordinario che dal 2004 al 2012, il settore privato in Francia, non ha mostrato alcuna crescita, al netto dell'inflazione. L'aumento intero del PIL, è solo il 7,3% in più di otto anni, veniva dalla spesa pubblica. E’ l'economia privata che sostiene quella spesa, e questa continuerà a calare, questo porta la Francia sempre più in debito. La spesa pubblica rappresenta ormai il 57% del PIL ed è in aumento, 12 punti in più rispetto alla Germania. Tra l'altro, il settore privato della Germania sta crescendo vivacemente come la spesa pubblica diminuisce come parte del reddito nazionale. La dinamica opposta invece affligge il suo partner di lunga data. E' del tutto plausibile che la colpa per la scarsa crescita della Francia sia per “l’austerità”. L'austerità è generalmente definita come una forte riduzione dei disavanzi di bilancio, guidata principalmente dal calo della spesa pubblica. Ma la spesa della Francia è aumentata in termini reali, ed i suoi deficit sono rimasti ad un sostanziale 5% circa del PIL nel 2011 e nel 2012, con la stessa cifra probabilmente per quest'anno. Non è chiaro quando la crisi in corso, in gran parte non riconosciuta dagli investitori e dal governo Hollande esploderà nel panico. La possibilità che la Francia riduca il costo del lavoro del 20%-30%, necessario per ripristinare la crescita, è praticamente nullo. Le riforme possono avvenire solo quando l'economia è in espansione e i cittadini si sentono bene per il futuro, l'antitesi del buio ora avvolge la Francia. La Francia si sta dirigendo verso una Bastiglia economica. Più a lungo si rimane su questa strada, più è possibile che il regime della zona Euro, alla cui creazione si è lavorato così duramente, crollerà.

 

  By: pablo on Lunedì 22 Settembre 2014 03:49

Verso il "mondo perfetto", seconda parte. Ah, la crisi c'è solo in Italia, obviusly. IL GRANDE BLUFF DELLA RIPRESA SPAGNOLA Disoccupazione in calo e crescita dell'1,2%. Dati da far invidia all'Italia in recessione. Ma le cifre nascondono una realtà ben diversa: il governo iberico sta trascinando il Paese verso un mercato del lavoro da terzo mondo, segnato da precarietà e salari da miseria. La Spagna di Rajoy è oggi in testa a qualunque classifica europea per disuguaglianze tra ricchi e poveri, per precarietà, per povertà infantile, per fallimento scolastico, per persone disoccupate senza alcun sostegno economico. Dopo una prolungata doppia recessione, la Spagna sembra aver svoltato l'angolo. La crescita è ripresa e la disoccupazione è in calo. L’ha scritto nel suo rapporto conclusivo della missione di monitoraggio a Madrid “Articolo IV” il Fondo monetario internazionale... Così, se il premier Renzi e il ministro dell’Economia Padoan non sorridono, gongola, invece, il Governo di centrodestra guidato da Mariano Rajoy: da quando si è insediato nel 2011, la disoccupazione si è ridotta dai 5 milioni ai 4,4 di fine luglio. Con buona pace di tutti i suoi detrattori, dai socialisti agli indignados e a tutte le parti sociali, che per mesi hanno portato la protesta in piazza, criticando la sanguinosa cura dimagrante imposta ai conti pubblici. Ma a guastare la festa del Partito popolare iberico, ci ha pensato Roberto Centeno, professore d’Economia alla Complutense di Madrid e firma prestigiosa del quotidiano El Confidencial. Centeno, partendo dalla considerazione che un tasso del 25% di senza lavoro è una vergogna, ha svelato il trucco utilizzato dal premier per contare i disoccupati. «Il metodo considera che si crea un nuovo posto di lavoro se si perde un posto di lavoro di 40 ore e se ne creano due di 10 ore. E allora dicono che la situazione è migliorata, quando è esattamente l'opposto». Con tale stratagemma si sono prodotti 402.400 posti di lavoro, ma in realtà sono 61 mila se le cifre sono “destagionalizzate” e «si correggono le bugie sulla popolazione attiva», scrive Centeno. E aggiunge: «Il numero di ore totali di lavoro è sceso di 3,8 milioni, cosa che, insieme alla precarietà e ai salari da miseria, sta portando la Spagna verso il Terzo Mondo, verso una società duale: una elite sempre più ricca, una burocrazia gigantesca di raccomandati dipendenti del regime e la maggior parte della popolazione impoverita e indebitata». Oggi in Spagna ci sono 2,5 milioni di persone senza alcuna speranza di tornare al mercato del lavoro, denuncia l’economista Centeno. «Sono i paria di questo regime oligarchico, che spreca decine di migliaia di milioni nel salvare inetti e corrotti e taglia le borse di studio e le mense, condannando alla fame e alla denutrizione centinaia di migliaia di ragazzi. Porta alla povertà il 30% dei bambini e getta letteralmente per la strada 2,5 milioni di persone». E non se la passano meglio i nuovi occupati, sempre sul filo della precarietà. «I nuovi occupati hanno salari intorno ai 500 euro e un laureato su tre (all'interno del 50% che ha la fortuna di non essere disoccupato, ndr) esercita un lavoro per il quale non è necessario alcun titolo. L'impressione è che la deriva del mercato del lavoro in Africa, inizi dai Pirenei». La Spagna di Rajoy è oggi in testa a qualunque classifica europea per disuguaglianze tra ricchi e poveri, per precarietà, per povertà infantile, per fallimento scolastico, per persone disoccupate senza alcun sostegno economico. Nelle sue severe considerazioni, Centeno parla non solo di Spagna, ma anche di Italia, testimoniando la continua perdita del potere d'acquisto della classe media negli ultimi trent'anni: «Fino alla fine degli anni 70 le famiglie in Spagna e in Italia vivevano col solo reddito del capo famiglia, sufficiente per garantire la dignità della casa, buoni studi per i figli che avrebbero poi trovato un lavoro migliore di quello dei genitori. Ora non è più così». Spagnoli e italiani, non solo cugini per lingua e culture simili, sono ora fratelli nella crisi economica. Soprattutto tra i giovani. La Spagna nei suoi cinque anni di feroce crisi economica ha visto disintegrarsi l’edilizia che, da sola, costituiva il 18% il Pil: gli effetti sull’indotto e sul tasso di disoccupazione sono stati drammatici. Nella “Piel de Toro” un anno fa la disoccupazione era al 26,1% contro il 12,9 dell’Italia che, però, conta su una popolazione di 60 milioni contro i 46,5 della Spagna. Oggi il tasso iberico è sceso al 24,9%, quello italiano al 12,3, ma preoccupa la metastasi dei giovani senza lavoro in entrambe le sponde del Mediterraneo. In Europa l’Italia è al terzo posto per la disoccupazione giovanile (under 25) con il 42,9%, dietro a Cipro (43,2%), ma è sempre la Spagna in vetta con il pesante 53,9%. E in alcune regioni meridionali il tasso supera il 70%. In pratica 8 spagnoli su 10 (di età tra i 18 e i 24 anni) sono senza lavoro. Scompare, così, “la generación de los mil euros”, detti anche “mileuristas” che campavano con mille euro al mese. Ora in Spagna, esiste la generazione dei “Ni-ni”, ovvero di chi “ni estudia ni trabaja”, non studia e non lavora. Un esercito di 900 mila persone, pari al 23,1% della popolazione giovanile. La Spagna è sempre più un paese per giovani. Disoccupati.

 

  By: pablo on Lunedì 22 Settembre 2014 03:42

Verso il "mondo perfetto" di Anti... :-) "Un lavoratore su tre nel settore privato greco guadagna un salario da 300 euro al mese (440 euro lordi). Queste rilevazioni shock provengono da un’inchiesta condotta dall’Istituto del Lavoro (INE) del principale sindacato greco GSEE. Lo riporta il blog KTG. Questa inchiesta rileva che i salari in Greci sono crollati significativamente attraverso il cosiddetto “contratti di lavoro flessibile” imposti dalla Troika nel suo Memorandum d’intesa per l’erogazione degli “aiuti”. “I lavori di contratti flessibile” sono considerati i contratti part-time, la riduzione degli orari di lavoro e I cosiddetti lavori in rotazione. Savvas Robolis, il direttore scientifico di INE-GSEE, ha commentato lo studio in questo modo: “l’alto tasso di disoccupazione sta forzando sempre più lavoratori del settore privato ad accettare i lavori di contratto flessibili. La situazione riguarda approssimativamente 500 mila persone. Questo ha creato una nuova generazione di lavoratori e impiegati, la generazione 300 euro”. Naturalmente, questo non riguarda solo giovani e lavoratori inesperti, ma anche tutti i gruppi di età che cercano disperatamente un lavoro e un reddito per la sussistenza personale e familiare. P.s: Quando in televisione o sui giornali vi parlano degli effetti miracolosi del Job act di Renzi in termini di competitività e ripresa, pensate sempre che esiste un paese, la Grecia, topo da laboratorio della Troika, dove da anni esiste già tutto questo e gli effetti sono là tutti da vedere".

 

  By: gianlini on Lunedì 22 Settembre 2014 00:40

GRANDISSIMA POLONIA!!! 3 - 1 AL BRASILE ED è CAMPIONE DEL MONDO DI VOLLEY!!! BELLISSIMO SPETTACOLO!

 

  By: MR on Mercoledì 17 Settembre 2014 00:13

La prossima volta che perdo a poker ti chiamo, mi dirai che ho vinto.