Il mercato dell'uva passa

 

  By: GZ on Giovedì 27 Marzo 2003 19:51

mi spiace di non aver capito, si vede che devo andare più in palestra mi sembrava però che "la pagnotta" non c'entrasse proprio anche perchè i commando polacchi sono 200 persone per qualche mese, anche l'Albania se li poteva permettere Per quelli che partecipano alle operazioni militari con ruoli minori cioè i polacchi (con 200 uomini delle forze speciali), i cechi e slovacchi ( con specialisti di guerra chimica ) e i danesi (con unità della marina militare per sminamento e altro) e altri come bulgari, romeni, lituani e soprendentemente anche gli olandesi che tutti appoggiano in termini logistici ma non militari è semplicemente una scelta che deriva dalle tradizioni e passate esperienze (vedi nazismo e anche comunismo) di questi paesi che li rendono più sensibili all'idea di combattere una dittatura La Germania ha sofferto in modo bestiale (i bombardamenti e le stragi dell'armata rossa) lo sforzo militare di abbattere una dittatura per cui inconsciamente è comprensibile che abbia delle riserve psicologiche. Per loro l'idea che il costo umano di abbattere una dittatura "non valga la pena" è stato un esperienza reale e non si può biasimarli più di tanto La Francia con Petain e la repubblica di Vichy e anche con l'Algeria ha fatto esperienze ambigue che in qualche modo pesano ancora Modificato da - gz on 3/27/2003 19:8:13

 

  By: lanci on Mercoledì 26 Marzo 2003 20:40

i cannoni? ma non erano pacifisti?

 

  By: gianlini on Mercoledì 26 Marzo 2003 20:19

in altre parole "non tutti possono fare i radical chic con il papà professionista e la mamma in carriera passando il tempo fra manifestazioni, cannoni e centri sociali...." alcuni, soprattutto nei paesi ex-comunisti, gli tocca lavorare sodo per vivere o sopravvivere...

 

  By: gianlini on Mercoledì 26 Marzo 2003 20:13

scusi Zibordi ma lei deve aver travisato completamente il senso delle mie parole che erano esattamente nella direzione del suo commento intendevo dire che i polacchi, stante il loro stato economicamente poco felice, non esitano a rimboccarsi le maniche e a darsi da fare... sicuramente quelli che combattono in IRAQ sono pagati decentemente soprattutto rispetto a quello che percepiscono in patria e con tutta probabilità la Polonia come governo ha accettato di fornire una forza militare dietro il giusto compenso di finanziamenti o opere di carattere economico questo volevo dire... e alla fine lo sottolineavo anche con l'ironico commento sul loro status di ex-comunisti... mi dispiace non essermi espresso con chiarezza.

 

  By: GZ on Mercoledì 26 Marzo 2003 19:10

--------------- i polacchi?? pare trattasi di pagnotta -------------------------- perchè scrivere queste stupidaggini stile leghista-razzista, tipo bossi che di tutto quello che succede in iraq dice che "... ci interessa che dei profughi non capitino in italia..." ? ma crede lei di essere meglio di un polacco solo perchè loro sono finiti sotto un regime che li ha ridotti in miseria e lei è nato nel benessere, se lei nasceva in polonia o in bulgaria e qualcuno la trattava come un pezzente solo perchè aveva avuto 50 anni di comunismo lei cosa diceva ? Ci sono 200 unità delle forze speciali polacche con le australiane e le inglesi in Iraq. Nessuno gliele paga, ma se anche fosse cosa vuole che siano 200 stipendi di soldati di un commando in ogni caso, la polonia non sono gli aborigeni della nuova guinea, lavorano quanto noi e fra 20 anni avranno il nostro tenore di vita. Quello che conta è che sono là a rischiare la pelle I polacchi hanno combattutto a Anzio, Cassino e sulla linea gotica con gli inglesi di Clark, ne sono morti migliaia nel 1943-1945 per liberare l'Italia e sono forse morti più polacchi che italiani a combattere contro i tedeschi in Italia Di unità regolari italiane a combattere sulla linea gotica non ce n'erano grazie all'opportunismo e vigliaccheria del re e di badoglio che aveva squagliato l'esercito italiano, ma c'erano delle divisioni polacche arruolate dagli inglesi Se combattono con gli inglesi, gli australiani e gli americani è perchè hanno combattuto contro il nazismo assieme a loro e sofferto sotto il comunismo per cui capiscono meglio cosa sia un regime come quello di Saddam Modificato da - gz on 3/26/2003 18:26:54

 

  By: gianlini on Martedì 25 Marzo 2003 19:40

i polacchi?? pare trattasi di pagnotta Moltissimi fra 3 mesi li trovi nel nord della germania a raccogliere fragole chini 10 ore al giorno già ma loro sono così stupidi che il comunismo l'hanno lasciato andar via....

 

  By: GZ on Martedì 25 Marzo 2003 19:21

a parte quanti carri armati (che non sarebbe vero, ma poi finisce che facciamo un altro bel sito solo di aggiornamento delle materie umanistiche) il punto è che in tutti i regimi fascisti, comunisti o di incroci mediorientale dei medesimi il capataz locale ha sempre dei fedeli, dei fanatici o della gente troppo compromessa che combatte per lui. Come si fa anche solo a pensare che di colpo bam! tutti i 28 milioni di irakeni diventino pacifici e rassegnati a vedere cadere il rais ? Ad es ci sono volontari degli hezbollah libanesi e iraniani, terroristi dell'OLP palestinese, militanti di Al Qaeda di Usama e altri simpatici gruppetti dediti al martirio e al terrore di massa i quali muoiono dalla voglia di ammazzare qualche americano o occidentale e morire loro stessi per la causa della jihaad. Ad es. il bus di "civili" che veniva dalla siria e che ieri è stato centrato da un missile, secondo debka, è stato colpito di proposito perchè erano in realtà militanti dell'OLP che stavano venendo a combattere contro gli americani: i servizi israeliani lo hanno segnalato e gli hanno diretto contro un missile, ma dato che erano in abiti civili la propaganda li sfrutta come "civili colpiti per errore" Tutti questi e specialmente quelli di al qaeda sono là a combattere il grande satana americano (ma ci sono anche dei corpi speciali polacchi ora che combattono assieme agli australiani) Chissa perchè di tutti gli europei i polacchi vanno a combattere ... Modificato da - gz on 3/25/2003 18:29:21

 

  By: prozac on Martedì 25 Marzo 2003 19:01

E' vero che molti ucraini e non solo si unirono ai tedeschi, ad es. a Stalingrado i cosiddetti kiwi erano quasi 1/4 degli effettivi. E' vero anche che i soldati russi rischiavano la condanna alla fucilazione da parte dei commissari politici se davano segni di cedimento . Resta il fatto che la guerra patriottica dei russi ci fu e coinvolse la maggioranza della popolazione, lo riconoscono anche storici non di sinistra, ad es. Beevor nei libri Stalingrado ed in Berlino 45 . Se Hitler avesse trattato più umanamente i prigionieri di guerra sarebbe finita in modo diverso ? Non lo sapremo mai, resta il fatto che già nel gennaio del 42 la produzione di carri sovietici era oltre il doppio di quella tedesca . Sulla prima guerra mondiale, è importante notare che il collasso improvviso del fronte russo avvenne nel '17 dopo quasi 3 anni di guerra, e fu una conseguenza comune anche ad altri paesi della guerra di logoramento. Keegan infatti fa notare che non coinvolse solo i russi ma anche sempre nel '17 l'esercito italiano a Caporetto e quello francese soggetto ad ammutinamenti di massa. Gli uomini si ribellavano all'idea di esser trattati dai generali come carne da cannone .

 

  By: GZ on Martedì 25 Marzo 2003 16:32

....Ma quando la Germania invase la Russia il popolo combattè una guerra patriottica contro l'invasore... --------------------- No. Gli ufficiali irakeni catturati dicono tutti di non voler essere fotografati e citati per nome perchè altrimenti come diceva uno: "... taglieranno la gola alla mia famiglia a Bagdad". Voi proprio non riuscite a capire cosa sia un regime di tipo nazista. Comunque in Russia le cose andarono in modo opposto a quello che lei pensa. 1) In ucraina e nei paesi baltici i tedeschi vennero accolti con corone di fiori e festeggiamenti e un intera armata ukraina sotto il generale Vlasov si unì a loro e combattè fino alla fine per la germania tanto era l'odio contro stalin. Tanto è vero che in Normandia quando gli americani catturarono i prigionieri delle prime linee tedesche non capivano cosa dicessero perchè erano tutti ukraini. Anche in italia c'erano divisioni ukraine in veneto e furono consegnate a stalin che li sterminò in siberia. 2) Ma Hitler diede ordine che la guerra contro i russi fosse una guerra di sterminio razziale, che le convenzioni usate contro i francesi, gli inglesi i norvegesi e persino i polacchi NON venissero rispettate e i prigionieri russi ad es venissero praticamente lasciati morire. I tedeschi presero due milioni di prigionieri russi e ebbero ordine di chiuderli nei campi e lasciarli crepare di freddo e fame. E nei villaggi di uccidere tutti i funzionari del governo indiscriminatamente. Una volta che i russi si resero conto che cadere prigionieri dei tedeschi significava automaticamente morire, mentre nelle prime fasi della guerra si arrendevano facilmente (2-3 milioni di prigionieri nei primi due mesi caddero nelle mani dei tdeschi) cominciarono a combattere alla morte. I generali tedeschi erano ovviamente contrari a questa scelta folle di Hitler, ma fu il singolo errore (o comunque scelta fanatica) più disastrosa del nazismo, che però derivava dalla sua ideologia di superiorità razziale e di sterminio delle razze inferiori (i russi dovevano diventare dei servi della gleba per i tedeschi) Nella prima guerra mondiale invece, dove i tedeschi combattevano secondo le convenzioni normali di trattamento dei prigionieri, i russi (anche lì aggrediti dalla germania che dichiarò guerra per prima e entrò in territorio russo) combatterono molto peggio disertarono in massa. Insomma se tu stermini gli avversari prigionieri non è poi difficile pensare che questi combattano pur di non arrendersi. 3) In terzo luogo e altrettanto importante decine di migliaia di soldati russi furono fucilati da stalin, i commissari del popolo del partito in ogni unità minacciavano di morte in continuazione chiunque esitasse. Mentre ad esempio nell'esercito francese o inglese o italiano ci furono una decina di fucilati (in quello americano solo uno in tutta la seconda guerra mondiale) in quello russo furono decine di migliaia per dare degli esempi. In iraq non è diverso fino a quando gli alleati non abbiano in mano le città e il grosso del paese. Modificato da - gz on 3/25/2003 15:45:27

L'illuminista ed il talebano - prozac  

  By: prozac on Martedì 25 Marzo 2003 11:53

che scuole avete fatto ? come sono ridotte le scuole medie e superiori italiane ? i libri di storia li hanno sostituiti con la lettura dei quotidiani sportivi e l'ora di di sensibilizzazione alle culture diverse dalla nostra ? --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- A differenza di altri, non è mia intenzione dare giudizi morali su questa guerra, da tempo ho smesso di dividere il mondo in buoni e cattivi . Mi limito a cercare di capire quel che sta accadendo ora in Iraq. La storia insegna,ricorderà che anche il regime staliniano era basato sulle purghe e la repressione sistematica di ogni dissenso, non credo Stalin fosse amato più di quanto lo è oggi Saddam . Ma quando la Germania invase la Russia il popolo combattè una guerra patriottica contro l'invasore . Se vuole un esempio più recente, durante la guerra delle Falkland in Argentina c'era un regime militare oppressivo, ma di fronte alla minaccia esterna inglese persino gli oppositori al regime dichiararono il loro sostegno alla giunta di Gualtieri . Per questo dico che è normale che un popolo si ricompatti con il suo leader quando si tratta di difendere il proprio paese contro un nemico esterno. E'un concetto elementare suffragato dagli esempi storici, ma difficile da cogliere quando si ragiona in termini di forze del bene contro le forze del male .

 

  By: banshee on Martedì 25 Marzo 2003 10:24

KHUZISTAN, IRAN - E' il quinto giorno di guerra e la Guardia repubblicana di Saddam è in grado di aggredire ancora nel sud Iraq le truppe anglo-americane. Il bollettino delle operazioni, così come riferito da più fonti, registra attacchi a installazioni strategiche nella penisola di Al Faw. E ancora: scontri lungo l'autostrada 80 con l'artiglieria e gli elicotteri in azione; le difficoltà dei "Topi del Deserto" a tenere l'assedio di Bassora; i furiosi combattimenti di Samawa sull'Eufrate, a metà strada tra Najaf e Nassiriya. Queste scarne informazioni, che è stato possibile verificare, ripropongono una questione di cui non si riesce a venire a capo da due giorni: il sud dell'Iraq è nelle mani delle truppe inglesi e americane, ma fino a che punto? Per dirla in altro modo: quanta parte di territorio è controllata, oggi, dalla coalizione? E come? Il fastidio degli americani per quel che sta accadendo è esplicito. Un alto funzionario del Dipartimento di Stato, al lavoro in una città del Medio Oriente, cede all'irritazione e si sfoga: "Dove diavolo sono gli Sciiti?". "La verità - prosegue - è che ci hanno traditi...". Spiega meglio un'altra fonte vicina al Pentagono: "I nostri piani militari erano stati ritagliati intorno alle più consistenti enclave sciite di sud e sud-ovest, nella speranza, o certezza, che fossero gli Sciiti a liberarsi della Guardia Repubblicana". Così una delle chiavi per comprendere che cosa accade in queste ore nelle città del sud iracheno impone di porsi qualche domanda sul comportamento degli Sciiti. Che è poi il comportamento della popolazione civile perché gli Sciiti sono il 67 per cento del popolo iracheno e la quasi totalità degli abitanti delle città del sud "liberate" e, a occidente, dei luoghi sacri Najaf e Karbala. Saddam odia gli Sciiti e gli Sciiti odiano Saddam. Dopo la rivolta del 1991, nell'indifferenza degli Stati Uniti, i seguaci di Ali (il primo imam sciita) furono schiacciati da una crudele repressione che lasciò sul campo quasi mezzo milione di morti. Con questa premessa, che gli americani si aspettassero la rivolta delle città del sud dopo la distruzione degli obiettivi militari e strategici, appariva coerente. In fondo, niente di più di quanto accaduto in Afghanistan lo scorso anno: gli Sciiti come l'Alleanza del nord. Ma questo non è avvenuto. Non è avvenuto a Bassora, nel cui centro ancora nessun soldato inglese o americano ha messo piede. Non è avvenuto a An Nassiriyah, dove si è combattuta la più violenta della battaglie campali di questi primi giorni di guerra. Non è avvenuto a Suq-al-Shuyakh, dove si è consumata l'imboscata a un convoglio americano di rifornimenti. E' avvenuto soltanto ad Al Faw, dove le truppe inglesi, con metodi degni di Belfast, hanno ripulito le polverose strade casa per casa. Ecco allora una delle questioni della prima settimana di guerra: dove sono finiti gli Sciiti? Per trovare una risposta, bisogna cercare nei sei campi che, in Iran, a Dezful, Andimeshk, Shushtar, Gatvand, ospitano 60mila profughi, i miliziani delle Brigate Sadr e i leader politici del "Consiglio Supremo della Rivoluzione in Iraq" dell'ayatollah Muhammad Baqir Al Hakim. In questi campi, grazie ai "passatori" che vanno su e giù lungo la frontiera a Al Faw, Khorramshahr, Shalamcheh, Arvand Kenar, si raccolgono informazioni di quel che sta accadendo nelle città "liberate". Il racconto che se ne può fare è questo. Nei primi giorni di marzo, il comandante supremo dell'esercito iracheno per l'area sud-occidentale, Ali Hassan Al-Majeed, ha ripulito i vertici dell'Armata del sud dagli ufficiali incerti. Sette generali che avevano espresso perplessità sulla nuova devastante guerra sono stati uccisi. I metodi di Ali "il chimico", così lo chiamano, non sono stati risparmiati alla popolazione civile. Per raccontare soltanto un episodio: la tribù nomade sciita Al-Bazuni voleva starsene fuori dalla guerra. Il loro capo chiese di incontrare Ali nella città di Amara (Misan, per gli iracheni). Il generale ascoltò in silenzio il capo tribù e per tutta risposta, subito dopo, gli uccise il figlio Arahim Abdalkarim. E' in questo clima di terrore che è iniziata la guerra. Molti sciiti pensavano che con i primi bombardamenti avrebbero potuto lasciare le città. Saddam glielo ha lasciato pensare. Ma, ventiquattro ore prima dell'inizio delle ostilità (mercoledì 19 marzo), ha imposto il coprifuoco e da allora ogni momento deve essere autorizzato per iscritto dalla Guardia Repubblicana. Le città, a quanto dicono gli sciiti in Khuzistan, possono reggere a questo assedio per molto tempo. In questa situazione, mimetizzata tra la popolazione civile, combatte oggi la Guardia Repubblicana che si è liberata dalle divise, che ha nascosto all'esterno delle città gli armamenti pesanti e, in abiti civili, a bordo di pick-up armati di mitragliatori pesanti, lancia, qui e lì, delle imboscate. Un fatto, in questo momento, è confermato da tutte le fonti: Bassora, An Nassiriyah, Najaf e Karbala sono controllate dalla Guardia fedele a Bagdad. Il "terrore" che schiaccia gli sciiti non è la sola ragione e probabilmente non la più importante del loro immobilismo. O, per dirla con gli americani, del loro "tradimento". Quando vogliono, gli sciiti sembrano saper tenere testa alla Guardia Repubblicana e raccontano che due giorni fa (sabato, 22) a Najaf, al termine di una manifestazione ("Nè con Bush né con Saddam, soltanto con il profeta Ali") ne hanno ucciso il comandante, Najef Sheidagh Nazem. Sembra di poter dire che, nell'atteggiamento sciita, più del terrore, conta la diffidenza verso gli Stati Uniti. Nei campi profughi del sud dell'Iran, come nelle città in Iraq, non c'è famiglia che non abbia patito morti nella repressione del 1991. Quando gli americani se ne rimasero a guardare i missili di Saddam che, nella no-fly zone, spegnevano nel sangue la ribellione. una diffidenza che i numerosi colloqui segreti che hanno preceduto la guerra non hanno scalfito. Salah Mosavi è il leader politico degli Sciiti nell'intero Khuzistan iraniano. un uomo dall'aspetto mite, dalla voce calma e i modi rassicuranti. Ricorda senza ira, con fredda malinconia, le discussioni con gli emissari della Casa Bianca che hanno preceduto la guerra. L'ultimo, ad Arbil, Kurdistan iracheno. Racconta: "L'inviato di Bush, Zalmay Khalilzad, ci spiegò che siamo un popolo troppo giovane per prenderci la responsabilità di governare l'Iraq liberato. Per noi, non può esistere un insulto peggiore. Viviamo in queste terre da millenni e siamo un popolo antico. Più antico degli americani che vengono a spiegarcelo. Siamo così "antichi" e radicati nella nostra terra che siamo gli unici a poter distinguere una guardia repubblicana in abiti civili da un civile. Capacità che oggi farebbe molto comodo a inglesi e americani. Ma non ne hanno voluto sapere. Le condizioni che abbiamo proposto agli Stati Uniti sono chiare. Una soprattutto è imprescindibile: nessun governatore militare a Bagdad, ma un governo liberamente eletto dal popolo iracheno. La Casa Bianca giudica inaccettabile questa condizione. Ecco la prima ragione del perché non abbiamo sin qui mosso un dito e non lo muoveremo, per il momento. Ma ce ne sono altre, di ragioni. In realtà, gli sciiti non vedono chiaro nella strategia degli americani. Si chiedono quale sia la natura dell'interesse di Washington nei loro confronti. Si sono risposti che "è un interesse strumentale: hanno bisogno di noi solo per accorciare i tempi e i costi in vite umane della campagna militare". E poi: "Qual è il loro obiettivo finale? Liberare il popolo iracheno da una dittatura o, come alcuni tra di noi credono, vogliono mettere un piede sulle nostre terre per poi spingere la loro influenza a est?". Salah Mosava appare molto preoccupato per la piega che sta prendendo la campagna militare. "Bagdad può anche cadere. E cadrà, probabilmente. Ma tra due settimane, quando qui il caldo sarà feroce, con 50 gradi all'ombra, gli americani saranno a Bagdad e tutte le città irachene saranno sotto il controllo di una Guardia Repubblicana capace di aggredire alle spalle le unità americane. Con uno stillicidio di morti. Ogni giorno, ogni settimana. Il loro governatore non governerà un bel niente. Se questo dovesse accadere, chi avrebbe vinto la guerra? Saddam o Bush? E noi sciiti non avremmo fatto la cosa giusta a non imbracciare le armi? Almeno per ora?".

 

  By: GZ on Martedì 25 Marzo 2003 02:01

prozac 24 March 22:11 --------------------------------------------- Non credo che la popolazione ami Saddam, ma è normale che un popolo si ricompatti con il suo leader quando si tratta di difendere il proprio paese contro un invasore .... -------------------------------------------- Invece del prozac è il caffè che ci vuole, sveglia ! In italia un 100 mila persone che hanno combattutto due anni per la repubblica di Salò le abbiamo avute, tra cui giorgio albertazzi, claudi rinaldi (ex-direttore dell'espresso), dario fo e tanti altri e questi chi erano, il "...popolo che si ricompatta con il suo leader quando si tratta di difendere il proprio paese contro un invasore .."? Ma scherziamo, DOPO CINQUE GIORNI dall'ingresso degli alleati in un paese grande come francia e germania messe assieme, non ci dovrebbe essere più nessuno di quelli che hanno ammazzato e torturato con Saddam o anche semplicemete beneficiato del regime o persino creduto in 30 anndi propaganda del rais ? Tutti i dittatori hanno un seguito, ce l'anno persino quelli che sterminano la famiglia come Erika di sestri o il Pietro Maso su nel veneto che al processo ricevono le lettere di centinaia di fans . Il povero Saddam ha fatto tutto da solo dal 1973, non ha avuto almeno un minimo di 30 o 50 mila fedeli o complici in un paese di 30 milioni di abitanti ? Il problema vero non è il progresso delle operazioni militari direi, ma piuttosto: che scuole avete fatto ? come sono ridotte le scuole medie e superiori italiane ? i libri di storia li hanno sostituiti con la lettura dei quotidiani sportivi e l'ora di di sensibilizzazione alle culture diverse dalla nostra ? Modificato da - gz on 3/25/2003 1:14:56

 

  By: gianlini on Martedì 25 Marzo 2003 00:41

Durante il Ventesimo secolo, è diventato ampiamente evidente che le cose erano andate malamente storte in Medio Oriente e, di fatto, in tutti i Paesi islamici. Paragonato al mondo cristiano, suo rivale per oltre un millennio, il mondo islamico era divenuto povero, debole e ignorante. Il primato e dunque il dominio dell’Occidente era lì davanti a tutti, diffuso in ogni aspetto della vita pubblica e - fatto ancora più doloroso - persino privata dei musulmani. I modernizzatori musulmani - attraverso riforme o rivoluzioni - hanno concentrato i loro sforzi in tre aree principali: militare, economica e politica. I risultati raggiunti sono stati quanto meno deludenti. La ricerca della vittoria attraverso eserciti avanzati portò a una serie di sconfitte umilianti. La ricerca della prosperità attraverso lo sviluppo portò alcuni Paesi ad avere economie impoverite e corrotte e un continuo bisogno di aiuti esteri, e altri a una malsana dipendenza da un’unica risorsa: il petrolio. Persino quest’ultimo è stato scoperto, estratto e messo a frutto dall’ingegno e dall’industria dell’Occidente ed è prima o poi condannato a esaurirsi o, più probabilmente, a essere superato man mano che la comunità internazionale diventa sempre più stufa di un combustibile che inquina terra, mare e aria ovunque venga usato o trasportato e che mette l’economia mondiale alla mercé di autocrati capricciosi. Peggio di tutti sono comunque i risultati politici: la lunga ricerca della libertà ha lasciato dietro di sé una scia di tirannie malandate che vanno da autocrazie tradizionali a dittature che sono moderne soltanto nei loro meccanismi di repressione e indottrinamento. Si sono provati molti rimedi - armamenti e fabbriche, scuole e parlamenti - nessuno dei quali ha tuttavia raggiunto il risultato desiderato. Soltanto qua e là sono riusciti a portare un qualche sollievo e un qualche beneficio a una fascia limitata della popolazione. Tuttavia, non sono riusciti a risanare o arrestare il crescente squilibrio tra il mondo islamico e quello Occidentale. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Era già abbastanza penalizzante per i musulmani sentirsi poveri e deboli dopo essere stati ricchi e forti per secoli, perdere la posizione di guida che avevano cominciato a considerare un loro diritto ed essere ridotti al rango di seguaci dell’Occidente. Ma il Ventesimo secolo, soprattutto nella seconda metà, ha portato con sé ulteriori umiliazioni: la consapevolezza di non essere neanche più i primi tra i seguaci e che stavano perdendo prezioso terreno nelle file di occidentalizzatori ancora più ambiziosi e vincenti, tra i quali l’Asia orientale. L’ascesa del Giappone aveva rappresentato uno stimolo ma anche un disonore. La successiva ascesa delle altre potenze economiche asiatiche fu per loro soltanto un disonore. Gli orgogliosi eredi di antiche civiltà si erano abituati a ingaggiare aziende occidentali affinché svolgessero i compiti di cui i propri imprenditori e tecnici erano apparentemente incapaci. In Medio Oriente, al fine di svolgere questi compiti, i regnanti e gli uomini d’affari si trovarono oramai a chiamare appaltatori e tecnici dalla Corea appena liberatasi dal dominio coloniale giapponese. Rimanere indietro è di per sé umiliante ma zoppicare nelle retrovie è di gran lunga peggio. Secondo tutti i parametri prevalenti nel mondo moderno - lo sviluppo economico e l’offerta di lavoro, l’alfabetismo, i risultati educativi e scientifici, la libertà politica e il rispetto dei diritti umani - quella che in passato fu una civiltà potente è davvero caduta in basso. «Chi ci ha fatto questo?» è ovviamente l’interrogativo più umano quando tutto va storto e sono in molti quelli che si sono posti e continuano a porsi questa domanda in Medio Oriente. A questa domanda si è data tutta una serie di risposte diverse. Risulta normalmente più facile e comunque più gratificante gettare la colpa per le proprie disgrazie sugli altri. I mongoli sono stati a lungo i «cattivi» preferiti. Si è data la colpa alle invasioni mongole del Duecento per la distruzione sia del potere musulmano che delle civiltà islamiche e anche per ciò che fu visto come il loro conseguente indebolimento e ristagno. Tuttavia, qualche tempo più tardi, gli storici, musulmani e non, incominciarono a indicare due vizi in questo ragionamento. Il primo era che alcuni dei maggiori successi culturali nel mondo islamico, specialmente in Iran, furono successivi e non precedenti alle invasioni dei mongoli. Il secondo, più difficile da accettare ma tuttavia ineccepibile, era che i mongoli sconfissero un impero che era già irrevocabilmente indebolito; se così non fosse stato, diventa di fatto difficile comprendere come il potente impero dei califfi abbia potuto soccombere a un’orda di nomadi a cavallo dopo aver attraversato le Steppe, provenienti dall’Asia orientale. L’ascesa del nazionalismo - anch’esso importato dall’Europa - aprì nuove prospettive. Gli arabi potevano dare la colpa dei loro guai ai turchi, visto che li avevano dominati durante molti secoli. I turchi potevano dare la colpa per il ristagno della loro civilizzazione sul peso morto rappresentato dal loro passato arabo, durante il quale le energie creative del popolo turco rimasero invischiate e immobilizzate. I persiani potevano dare la colpa per la perdita delle loro antiche glorie agli arabi, ai turchi e ai mongoli in modo equanime. Nel corso del Diciannovesimo e del Ventesimo secolo, la supremazie inglese e francese in gran parte del mondo arabo, diede adito a una nuova e più plausibile scappatoia: l’imperialismo occidentale. Esistono buoni motivi per attribuire tali colpe in Medio Oriente. Il dominio politico occidentale, la penetrazione economica e - la più duratura, profonda e insidiosa fra tutte - l’influenza culturale, hanno cambiato faccia alla regione e hanno trasformato le vite dei cittadini, creando nuove speranze e timori, producendo nuovi pericoli e nuove aspettative senza precedenti nel loro passato culturale. Comunque, la parentesi anglo-francese fu relativamente breve ed ebbe fine mezzo secolo fa; il cambiamento verso il peggioramento dell’Islam iniziò molto tempo prima e continuò ininterrotto in seguito. Il ruolo di cattivi degli inglesi e dei francesi fu poi inevitabilmente impersonato dagli Stati Uniti, come anche altri aspetti del ruolo di capofila nel mondo occidentale. Il tentativo di trasferire la colpa all’America ha conquistato un notevole appoggio ma rimane poco convincente per motivi simili ai precedenti. Il dominio anglo-francese e l’influenza americana, proprio come le invasioni mongole, furono una conseguenza e non una causa delle debolezze insite nei Paesi e nelle società medio-orientali. Alcuni osservatori, sia nella regione che al di fuori, hanno indicato alcune differenze nello sviluppo post-coloniale degli ex-possedimenti inglesi, per esempio tra Aden, in Medio Oriente e Singapore e Hong Kong; o tra i vari territori che costituivano l’Impero Britannico in India. Un altro apporto europeo a questo dibattito è l’antisemitismo e l’abitudine di scaricare la colpa sugli «ebrei» per tutto ciò che va storto. Nelle società islamiche tradizionali, gli ebrei erano sottoposti alle normali limitazioni e agli occasionali pericoli insiti nella condizione di minoranza. Fino a che non nacque e si diffuse la tolleranza occidentale nel Diciassettesimo e Diciotessimo secolo, stavano meglio sotto il dominio musulmano che non cristiano per quanto riguarda gli aspetti più significativi. A parte rare eccezioni, dove esistevano degli stereotipi ostili agli ebrei nella tradizione islamica, le società musulmane tendevano a essere sprezzanti e sdegnose piuttosto che sospettose e ossessive. Ciò rese gli eventi del 1948 - l’incapacità di evitare l’insediamento dello Stato di Israele - ancora più traumatici. Come alcuni scrittori allora osservarono, era già abbastanza umiliante essere sconfitti dalle maggiori potenze dell’Occidente; subire lo stesso destino per mano di una spregevole banda di ebrei era però intollerabile. L’antisemitismo e l’immagine degli ebrei come di mostri infidi e malvagi fornì un antidoto rassicurante. In Medio Oriente, le primissime dichiarazioni specificamente antisemite emersero tra le minoranze cristiane e si possono generalmente far risalire ai cittadini di origine europea. Ebbero tuttavia un impatto limitato; per esempio, durante il processo Dreyfus in Francia, in cui un ufficiale ebreo fu ingiustamente accusato e condannato da un tribunale ostile, i commenti musulmani furono normalmente a favore dell’ebreo perseguitato e contro i suoi persecutori cristiani. Tuttavia si continuò a spargere veleno e già nel 1933 la Germania nazista, attraverso i suoi vari enti, avviò uno sforzo concertato e sorprendentemente efficace per promuovere un antisemitismo di stile europeo nel mondo arabo. La battaglia per la Palestina facilitò molto l’accettazione di una interpretazione antisemita della storia e fece sì che alcuni facessero risalire qualsiasi avversità in Medio Oriente - e, di fatto, in tutto il mondo - a complotti segreti degli ebrei. Questa interpretazione si è diffusa nella quasi totalità dei discorsi pubblici nella regione, inclusi quelli fatti nell’ambito dell’istruzione, dei mezzi di comunicazione di massa e persino nel mondo dello spettacolo. Uno degli argomenti a volte addotti è che la causa del cambiamento dei rapporti Oriente-Occidente non è dovuta al declino del Medio Oriente ma piuttosto all’ascesa dell’Occidente tramite le scoperte e le rivoluzioni scientifiche, tecnologiche e industriali che lo trasformarono incrementandone immensamente la ricchezza e il potere. Ma questo è soltanto un altro modo di riporre la domanda: perché gli scopritori dell’America partirono dalla Spagna piuttosto che da un porto atlantico islamico da dove partirono invece simili spedizioni in tempi più remoti? Perché mai le maggiori scoperte scientifiche avvennero in Europa e non, come si poteva facilmente presupporre, nel più ricco, più avanzato e, per molti aspetti, più illuminato mondo islamico? Una forma più sofisticata del gioco delle colpe mira all’interno piuttosto che all’esterno delle società islamiche. Un possibile bersaglio è la religione, e, per alcuni, questa religione è specificamente quella islamica. Ma addossare la colpa all’Islam in quanto tale è di solito pericoloso e non è un tentativo che viene spesso fatto. Né è molto plausibile. Durante la maggior parte del Medioevo, non erano né le più antiche culture orientali né le culture più recenti occidentali a rappresentare i centri più civilizzati e progrediti ma piuttosto il mondo islamico. Lì si riscoprirono e si svilupparono antiche scienze e se ne crearono delle nuove; lì nacquero nuove industrie e le arti manufatturiere e il commercio si estesero fino a un punto mai raggiunto prima. Sempre lì, i governi e le società raggiunsero un tale livello di libertà di pensiero e di espressione che permisero agli ebrei perseguitati e persino ai cristiani dissidenti di fuggire dalla cristianità e trovare rifugio nell’Islam. Se paragonato agli ideali moderni e alla realtà praticata nelle democrazie più avanzate, il mondo islamico medievale offriva soltanto una libertà limitata ma comunque molto maggiore di quanto non fosse offerta da qualsiasi suo predecessore, contemporaneo o addirittura dalla maggior parte dei propri successori. Si è spesso detto: se l’Islam rappresenta un ostacolo alla libertà, alla scienza, allo sviluppo economico, come si spiega che, in passato, le società musulmane fossero all’avanguardia in tutti questi aspetti, tanto più in un momento in cui i musulmani si trovavano storicamente più vicini alle fonti e all’ispirazione della loro fede di quanto non lo siano oggi? Alcuni hanno posto questa domanda in forma diversa: non «che cosa ha fatto l’Islam ai musulmani?» ma «che cosa hanno fatto i musulmani all’Islam?» e hanno risposto addossando la colpa a determinati insegnanti, dottrine e gruppi. Secondo quelli che oggi conosciamo come Islamisti o fondamentalisti, i fallimenti o gli insuccessi dei moderni Paesi islamici affliggono quei Paesi perché essi hanno adottato nozioni e pratiche straniere. Si sono allontanati dall’Islam autentico e dunque hanno perso la loro antica grandezza. Quelli che conosciamo come modernisti o riformatori prendono la posizione opposta, individuando la causa di questa perdita non nell’avere abbandonato ma piuttosto mantenuto vecchi costumi e soprattutto nell’inflessibilità e nell’ubiquità del clero islamico il quale, a loro dire, è responsabile del perdurare di credenze e pratiche che magari erano creative e progressiste mille anni fa ma certo non lo sono oggi. La tattica più comune tra i modernisti non è di denunciare la religione in quanto tale, e tanto meno la religione islamica, ma di concentrare le loro critiche contro il fanatismo. È al fanatismo - e specialmente al fanatismo tra le autorità religiose - che essi attribuiscono la responsabilità di aver soffocato l’antica grandezza del movimento scientifico nelle terre dell’Islam e, più in generale, la libertà di pensiero e di espressione. L’impostazione più comune in questo discorso è stata di attenersi a un tema specifico: il posto occupato dalla religione e dai suoi esponenti ufficiali nell’ordine politico. Da questo punto di vista, una delle cause principali del progresso occidentale è la separazione tra la Chiesa e lo Stato e la creazione di una società civile governata da leggi laiche. Un’altra impostazione è stata di addossare il peso maggiore della colpa all’avere relegato le donne a un ruolo di inferiorità nella società musulmana, il che priva il mondo islamico dei talenti e delle energie di metà della propria popolazione e affida gli importantissimi primi anni di crescita dell’altra metà a madri analfabete e oppresse. Si dice che i prodotti di una simile educazione, una volta adulti, probabilmente diventeranno o arroganti o sottomessi e inadatti a vivere in una società libera e aperta. A seconda di come si valutano le opinioni dei laicisti o delle femministe, i loro successi o i loro fallimenti diventeranno fattori prevalenti nel delineare il futuro del Medio Oriente. Alcune soluzioni che in passato raccolsero un consenso travolgente sono state scartate. I due movimenti prevalenti del Ventesimo secolo furono il socialismo e il nazionalismo. Ambedue sono stati screditati: il primo, a causa del suo fallimento e il secondo per aver dato sì risultati ma per essersi successivamente dimostrato inefficace. La libertà, interpretata come indipendenza nazionale, era vista come il grande talismano che avrebbe portato una serie infinita di benefici. La stragrande maggioranza di musulmani attualmente vivono in Stati indipendenti ma questo non ha fornito soluzioni ai loro problemi. Il nazional-socialismo, il figlio bastardo di tutt’e due le ideologie, continua a esistere in quei pochi Stati che hanno mantenuto un governo e un indottrinamento dittatoriale di stile nazi-fascista basato su un esteso apparato di sicurezza e un unico partito onnipotente. Tali regimi si sono dimostrati fallimentari di fronte a qualsiasi prova eccetto quella della sopravvivenza e non sono riusciti a produrre nessuno dei benefici promessi. Se possibile, le loro infrastrutture sono addirittura più antiquate di quelle esistenti in altri Stati islamici e le loro forze armate servono soprattutto a creare terrore e repressione. Attualmente in Medio Oriente sono due le risposte alla domanda su che cosa sia andato storto che raccolgono maggior consenso, ognuna delle quali implica una propria diagnosi e relativa ricetta. Una di queste attribuisce ogni avversità all’abbandono del retaggio divino dell’Islam e perora un ritorno a un passato reale o immaginario. Questo è quanto è avvenuto nella rivoluzione iraniana e nei cosiddetti movimenti e regimi fondamentalisti in diversi Paesi musulmani. L’altra, condanna il passato e invoca una democrazia laica e trova il miglior esempio nella Repubblica turca proclamata nel 1923 da Kemal Atatürk. Per i governi oppressivi ma inefficaci che governano la maggior parte del Medio Oriente, trovare bersagli contro i quali gettare le colpe serve a uno scopo utile per non dire essenziale: spiegare la povertà che sono stati incapaci ad alleviare e giustificare la tirannia che essi stessi hanno introdotto. Essi cercano di deviare la crescente ira dei loro sventurati soggetti verso dei bersagli terzi, esterni. Tuttavia, un numero crescente di cittadini mediorientali stanno adottando una visione più autocritica. La domanda: «Chi ci ha fatto questo?» ha soltanto prodotto fantasie nevrotiche e teorie di complotti. E la domanda: «Che cosa abbiamo fatto di sbagliato?» ha naturalmente condotto a una seconda domanda: «Cosa dobbiamo fare per risanare la situazione?». È in questo interrogativo, insieme alle varie risposte che vengono date, che troviamo la maggiore speranza per il futuro. Negli ultimi tempi, la rilevanza mondiale che si è data alle opinioni e alle azioni di Osama Bin Laden e dei suoi ospiti talebani, ha permesso una nuova e vivida comprensione dell’eclissi di quella che fu la più grande, la più avanzata e la più aperta civiltà nella storia dell’umanità. A un osservatore occidentale, immerso nella teoria e nella pratica delle libertà occidentali, è proprio la mancanza di libertà, la libertà della mente da vincoli e indottrinamenti, di mettere in discussione, investigare e dar voce alle opinioni; la libertà dell’economia da una cattiva gestione corrotta e diffusa; la libertà delle donne dall’oppressione maschile; la libertà dei cittadini dalla tirannia che è alla base di molti dei problemi insiti nel mondo islamico. Ma la strada verso la democrazia, come è ampiamente dimostrato dall’esperienza occidentale, è lunga e ardua e fitta di trabocchetti e ostacoli. Se i popoli del Medio Oriente proseguiranno lungo questa strada, l’attentatore-suicida potrebbe diventare la metafora dell’intera regione e non si potrà più sfuggire a una spirale verso il basso di odio e disprezzo, rabbia e autocommiserazione, povertà e oppressione che, prima o poi, finirà con un’ulteriore dominazione straniera, forse perpetuata da una nuova Europa che si rifà a vecchi metodi, forse da una Russia rinata, forse da una super-potenza asiatica in via di espansione. Ma se riusciranno ad abbandonare rancori e vittimismi, a risolvere le loro divergenze e a mettere insieme i loro talenti, le loro energie e le loro risorse in un unico sforzo creativo, potranno ricostituire in Medio Oriente, adesso come nell’antichità e nel Medio Evo, un importante centro di civiltà. Adesso, la decisione è soltanto la loro. (Traduzione dall’inglese di Valeria Beltrani)

 

  By: Leofab on Martedì 25 Marzo 2003 00:14

Ecco perchè è vitale che Saddam cada il prima possibile. Al momento opportuno non mancheranno gli aiuti dei dissidenti iracheni che sapranno comunicare la storia ai cittadini. Non dimentichiamoci che hanno vissuto 30 anni di regime. Le ultime due generazioni non riescono ad immaginare un paese diverso. Perchè non si accendono in occidente manifestazioni pro-esilio del dittatore ? Cesserebbe subìto la guerra.

 

  By: prozac on Lunedì 24 Marzo 2003 23:11

Non credo che la popolazione ami Saddam, ma è normale che un popolo si ricompatti con il suo leader quando si tratta di difendere il proprio paese contro un invasore .