By: gianlini on Martedì 25 Marzo 2003 00:41
Durante il Ventesimo secolo, è diventato ampiamente evidente che le cose erano andate malamente storte in Medio Oriente e, di fatto, in tutti i Paesi islamici. Paragonato al mondo cristiano, suo rivale per oltre un millennio, il mondo islamico era divenuto povero, debole e ignorante. Il primato e dunque il dominio dell’Occidente era lì davanti a tutti, diffuso in ogni aspetto della vita pubblica e - fatto ancora più doloroso - persino privata dei musulmani. I modernizzatori musulmani - attraverso riforme o rivoluzioni - hanno concentrato i loro sforzi in tre aree principali: militare, economica e politica. I risultati raggiunti sono stati quanto meno deludenti. La ricerca della vittoria attraverso eserciti avanzati portò a una serie di sconfitte umilianti. La ricerca della prosperità attraverso lo sviluppo portò alcuni Paesi ad avere economie impoverite e corrotte e un continuo bisogno di aiuti esteri, e altri a una malsana dipendenza da un’unica risorsa: il petrolio. Persino quest’ultimo è stato scoperto, estratto e messo a frutto dall’ingegno e dall’industria dell’Occidente ed è prima o poi condannato a esaurirsi o, più probabilmente, a essere superato man mano che la comunità internazionale diventa sempre più stufa di un combustibile che inquina terra, mare e aria ovunque venga usato o trasportato e che mette l’economia mondiale alla mercé di autocrati capricciosi. Peggio di tutti sono comunque i risultati politici: la lunga ricerca della libertà ha lasciato dietro di sé una scia di tirannie malandate che vanno da autocrazie tradizionali a dittature che sono moderne soltanto nei loro meccanismi di repressione e indottrinamento. Si sono provati molti rimedi - armamenti e fabbriche, scuole e parlamenti - nessuno dei quali ha tuttavia raggiunto il risultato desiderato. Soltanto qua e là sono riusciti a portare un qualche sollievo e un qualche beneficio a una fascia limitata della popolazione. Tuttavia, non sono riusciti a risanare o arrestare il crescente squilibrio tra il mondo islamico e quello Occidentale.
Ma il peggio doveva ancora arrivare. Era già abbastanza penalizzante per i musulmani sentirsi poveri e deboli dopo essere stati ricchi e forti per secoli, perdere la posizione di guida che avevano cominciato a considerare un loro diritto ed essere ridotti al rango di seguaci dell’Occidente. Ma il Ventesimo secolo, soprattutto nella seconda metà, ha portato con sé ulteriori umiliazioni: la consapevolezza di non essere neanche più i primi tra i seguaci e che stavano perdendo prezioso terreno nelle file di occidentalizzatori ancora più ambiziosi e vincenti, tra i quali l’Asia orientale. L’ascesa del Giappone aveva rappresentato uno stimolo ma anche un disonore. La successiva ascesa delle altre potenze economiche asiatiche fu per loro soltanto un disonore. Gli orgogliosi eredi di antiche civiltà si erano abituati a ingaggiare aziende occidentali affinché svolgessero i compiti di cui i propri imprenditori e tecnici erano apparentemente incapaci. In Medio Oriente, al fine di svolgere questi compiti, i regnanti e gli uomini d’affari si trovarono oramai a chiamare appaltatori e tecnici dalla Corea appena liberatasi dal dominio coloniale giapponese. Rimanere indietro è di per sé umiliante ma zoppicare nelle retrovie è di gran lunga peggio. Secondo tutti i parametri prevalenti nel mondo moderno - lo sviluppo economico e l’offerta di lavoro, l’alfabetismo, i risultati educativi e scientifici, la libertà politica e il rispetto dei diritti umani - quella che in passato fu una civiltà potente è davvero caduta in basso. «Chi ci ha fatto questo?» è ovviamente l’interrogativo più umano quando tutto va storto e sono in molti quelli che si sono posti e continuano a porsi questa domanda in Medio Oriente. A questa domanda si è data tutta una serie di risposte diverse. Risulta normalmente più facile e comunque più gratificante gettare la colpa per le proprie disgrazie sugli altri. I mongoli sono stati a lungo i «cattivi» preferiti. Si è data la colpa alle invasioni mongole del Duecento per la distruzione sia del potere musulmano che delle civiltà islamiche e anche per ciò che fu visto come il loro conseguente indebolimento e ristagno. Tuttavia, qualche tempo più tardi, gli storici, musulmani e non, incominciarono a indicare due vizi in questo ragionamento. Il primo era che alcuni dei maggiori successi culturali nel mondo islamico, specialmente in Iran, furono successivi e non precedenti alle invasioni dei mongoli. Il secondo, più difficile da accettare ma tuttavia ineccepibile, era che i mongoli sconfissero un impero che era già irrevocabilmente indebolito; se così non fosse stato, diventa di fatto difficile comprendere come il potente impero dei califfi abbia potuto soccombere a un’orda di nomadi a cavallo dopo aver attraversato le Steppe, provenienti dall’Asia orientale.
L’ascesa del nazionalismo - anch’esso importato dall’Europa - aprì nuove prospettive. Gli arabi potevano dare la colpa dei loro guai ai turchi, visto che li avevano dominati durante molti secoli. I turchi potevano dare la colpa per il ristagno della loro civilizzazione sul peso morto rappresentato dal loro passato arabo, durante il quale le energie creative del popolo turco rimasero invischiate e immobilizzate. I persiani potevano dare la colpa per la perdita delle loro antiche glorie agli arabi, ai turchi e ai mongoli in modo equanime. Nel corso del Diciannovesimo e del Ventesimo secolo, la supremazie inglese e francese in gran parte del mondo arabo, diede adito a una nuova e più plausibile scappatoia: l’imperialismo occidentale. Esistono buoni motivi per attribuire tali colpe in Medio Oriente. Il dominio politico occidentale, la penetrazione economica e - la più duratura, profonda e insidiosa fra tutte - l’influenza culturale, hanno cambiato faccia alla regione e hanno trasformato le vite dei cittadini, creando nuove speranze e timori, producendo nuovi pericoli e nuove aspettative senza precedenti nel loro passato culturale. Comunque, la parentesi anglo-francese fu relativamente breve ed ebbe fine mezzo secolo fa; il cambiamento verso il peggioramento dell’Islam iniziò molto tempo prima e continuò ininterrotto in seguito. Il ruolo di cattivi degli inglesi e dei francesi fu poi inevitabilmente impersonato dagli Stati Uniti, come anche altri aspetti del ruolo di capofila nel mondo occidentale. Il tentativo di trasferire la colpa all’America ha conquistato un notevole appoggio ma rimane poco convincente per motivi simili ai precedenti. Il dominio anglo-francese e l’influenza americana, proprio come le invasioni mongole, furono una conseguenza e non una causa delle debolezze insite nei Paesi e nelle società medio-orientali. Alcuni osservatori, sia nella regione che al di fuori, hanno indicato alcune differenze nello sviluppo post-coloniale degli ex-possedimenti inglesi, per esempio tra Aden, in Medio Oriente e Singapore e Hong Kong; o tra i vari territori che costituivano l’Impero Britannico in India.
Un altro apporto europeo a questo dibattito è l’antisemitismo e l’abitudine di scaricare la colpa sugli «ebrei» per tutto ciò che va storto. Nelle società islamiche tradizionali, gli ebrei erano sottoposti alle normali limitazioni e agli occasionali pericoli insiti nella condizione di minoranza. Fino a che non nacque e si diffuse la tolleranza occidentale nel Diciassettesimo e Diciotessimo secolo, stavano meglio sotto il dominio musulmano che non cristiano per quanto riguarda gli aspetti più significativi. A parte rare eccezioni, dove esistevano degli stereotipi ostili agli ebrei nella tradizione islamica, le società musulmane tendevano a essere sprezzanti e sdegnose piuttosto che sospettose e ossessive. Ciò rese gli eventi del 1948 - l’incapacità di evitare l’insediamento dello Stato di Israele - ancora più traumatici. Come alcuni scrittori allora osservarono, era già abbastanza umiliante essere sconfitti dalle maggiori potenze dell’Occidente; subire lo stesso destino per mano di una spregevole banda di ebrei era però intollerabile. L’antisemitismo e l’immagine degli ebrei come di mostri infidi e malvagi fornì un antidoto rassicurante. In Medio Oriente, le primissime dichiarazioni specificamente antisemite emersero tra le minoranze cristiane e si possono generalmente far risalire ai cittadini di origine europea. Ebbero tuttavia un impatto limitato; per esempio, durante il processo Dreyfus in Francia, in cui un ufficiale ebreo fu ingiustamente accusato e condannato da un tribunale ostile, i commenti musulmani furono normalmente a favore dell’ebreo perseguitato e contro i suoi persecutori cristiani. Tuttavia si continuò a spargere veleno e già nel 1933 la Germania nazista, attraverso i suoi vari enti, avviò uno sforzo concertato e sorprendentemente efficace per promuovere un antisemitismo di stile europeo nel mondo arabo. La battaglia per la Palestina facilitò molto l’accettazione di una interpretazione antisemita della storia e fece sì che alcuni facessero risalire qualsiasi avversità in Medio Oriente - e, di fatto, in tutto il mondo - a complotti segreti degli ebrei. Questa interpretazione si è diffusa nella quasi totalità dei discorsi pubblici nella regione, inclusi quelli fatti nell’ambito dell’istruzione, dei mezzi di comunicazione di massa e persino nel mondo dello spettacolo. Uno degli argomenti a volte addotti è che la causa del cambiamento dei rapporti Oriente-Occidente non è dovuta al declino del Medio Oriente ma piuttosto all’ascesa dell’Occidente tramite le scoperte e le rivoluzioni scientifiche, tecnologiche e industriali che lo trasformarono incrementandone immensamente la ricchezza e il potere. Ma questo è soltanto un altro modo di riporre la domanda: perché gli scopritori dell’America partirono dalla Spagna piuttosto che da un porto atlantico islamico da dove partirono invece simili spedizioni in tempi più remoti? Perché mai le maggiori scoperte scientifiche avvennero in Europa e non, come si poteva facilmente presupporre, nel più ricco, più avanzato e, per molti aspetti, più illuminato mondo islamico?
Una forma più sofisticata del gioco delle colpe mira all’interno piuttosto che all’esterno delle società islamiche. Un possibile bersaglio è la religione, e, per alcuni, questa religione è specificamente quella islamica. Ma addossare la colpa all’Islam in quanto tale è di solito pericoloso e non è un tentativo che viene spesso fatto. Né è molto plausibile. Durante la maggior parte del Medioevo, non erano né le più antiche culture orientali né le culture più recenti occidentali a rappresentare i centri più civilizzati e progrediti ma piuttosto il mondo islamico. Lì si riscoprirono e si svilupparono antiche scienze e se ne crearono delle nuove; lì nacquero nuove industrie e le arti manufatturiere e il commercio si estesero fino a un punto mai raggiunto prima. Sempre lì, i governi e le società raggiunsero un tale livello di libertà di pensiero e di espressione che permisero agli ebrei perseguitati e persino ai cristiani dissidenti di fuggire dalla cristianità e trovare rifugio nell’Islam. Se paragonato agli ideali moderni e alla realtà praticata nelle democrazie più avanzate, il mondo islamico medievale offriva soltanto una libertà limitata ma comunque molto maggiore di quanto non fosse offerta da qualsiasi suo predecessore, contemporaneo o addirittura dalla maggior parte dei propri successori. Si è spesso detto: se l’Islam rappresenta un ostacolo alla libertà, alla scienza, allo sviluppo economico, come si spiega che, in passato, le società musulmane fossero all’avanguardia in tutti questi aspetti, tanto più in un momento in cui i musulmani si trovavano storicamente più vicini alle fonti e all’ispirazione della loro fede di quanto non lo siano oggi? Alcuni hanno posto questa domanda in forma diversa: non «che cosa ha fatto l’Islam ai musulmani?» ma «che cosa hanno fatto i musulmani all’Islam?» e hanno risposto addossando la colpa a determinati insegnanti, dottrine e gruppi. Secondo quelli che oggi conosciamo come Islamisti o fondamentalisti, i fallimenti o gli insuccessi dei moderni Paesi islamici affliggono quei Paesi perché essi hanno adottato nozioni e pratiche straniere. Si sono allontanati dall’Islam autentico e dunque hanno perso la loro antica grandezza. Quelli che conosciamo come modernisti o riformatori prendono la posizione opposta, individuando la causa di questa perdita non nell’avere abbandonato ma piuttosto mantenuto vecchi costumi e soprattutto nell’inflessibilità e nell’ubiquità del clero islamico il quale, a loro dire, è responsabile del perdurare di credenze e pratiche che magari erano creative e progressiste mille anni fa ma certo non lo sono oggi.
La tattica più comune tra i modernisti non è di denunciare la religione in quanto tale, e tanto meno la religione islamica, ma di concentrare le loro critiche contro il fanatismo. È al fanatismo - e specialmente al fanatismo tra le autorità religiose - che essi attribuiscono la responsabilità di aver soffocato l’antica grandezza del movimento scientifico nelle terre dell’Islam e, più in generale, la libertà di pensiero e di espressione. L’impostazione più comune in questo discorso è stata di attenersi a un tema specifico: il posto occupato dalla religione e dai suoi esponenti ufficiali nell’ordine politico. Da questo punto di vista, una delle cause principali del progresso occidentale è la separazione tra la Chiesa e lo Stato e la creazione di una società civile governata da leggi laiche. Un’altra impostazione è stata di addossare il peso maggiore della colpa all’avere relegato le donne a un ruolo di inferiorità nella società musulmana, il che priva il mondo islamico dei talenti e delle energie di metà della propria popolazione e affida gli importantissimi primi anni di crescita dell’altra metà a madri analfabete e oppresse. Si dice che i prodotti di una simile educazione, una volta adulti, probabilmente diventeranno o arroganti o sottomessi e inadatti a vivere in una società libera e aperta. A seconda di come si valutano le opinioni dei laicisti o delle femministe, i loro successi o i loro fallimenti diventeranno fattori prevalenti nel delineare il futuro del Medio Oriente. Alcune soluzioni che in passato raccolsero un consenso travolgente sono state scartate. I due movimenti prevalenti del Ventesimo secolo furono il socialismo e il nazionalismo. Ambedue sono stati screditati: il primo, a causa del suo fallimento e il secondo per aver dato sì risultati ma per essersi successivamente dimostrato inefficace. La libertà, interpretata come indipendenza nazionale, era vista come il grande talismano che avrebbe portato una serie infinita di benefici. La stragrande maggioranza di musulmani attualmente vivono in Stati indipendenti ma questo non ha fornito soluzioni ai loro problemi. Il nazional-socialismo, il figlio bastardo di tutt’e due le ideologie, continua a esistere in quei pochi Stati che hanno mantenuto un governo e un indottrinamento dittatoriale di stile nazi-fascista basato su un esteso apparato di sicurezza e un unico partito onnipotente. Tali regimi si sono dimostrati fallimentari di fronte a qualsiasi prova eccetto quella della sopravvivenza e non sono riusciti a produrre nessuno dei benefici promessi. Se possibile, le loro infrastrutture sono addirittura più antiquate di quelle esistenti in altri Stati islamici e le loro forze armate servono soprattutto a creare terrore e repressione. Attualmente in Medio Oriente sono due le risposte alla domanda su che cosa sia andato storto che raccolgono maggior consenso, ognuna delle quali implica una propria diagnosi e relativa ricetta. Una di queste attribuisce ogni avversità all’abbandono del retaggio divino dell’Islam e perora un ritorno a un passato reale o immaginario. Questo è quanto è avvenuto nella rivoluzione iraniana e nei cosiddetti movimenti e regimi fondamentalisti in diversi Paesi musulmani. L’altra, condanna il passato e invoca una democrazia laica e trova il miglior esempio nella Repubblica turca proclamata nel 1923 da Kemal Atatürk. Per i governi oppressivi ma inefficaci che governano la maggior parte del Medio Oriente, trovare bersagli contro i quali gettare le colpe serve a uno scopo utile per non dire essenziale: spiegare la povertà che sono stati incapaci ad alleviare e giustificare la tirannia che essi stessi hanno introdotto. Essi cercano di deviare la crescente ira dei loro sventurati soggetti verso dei bersagli terzi, esterni. Tuttavia, un numero crescente di cittadini mediorientali stanno adottando una visione più autocritica. La domanda: «Chi ci ha fatto questo?» ha soltanto prodotto fantasie nevrotiche e teorie di complotti. E la domanda: «Che cosa abbiamo fatto di sbagliato?» ha naturalmente condotto a una seconda domanda: «Cosa dobbiamo fare per risanare la situazione?». È in questo interrogativo, insieme alle varie risposte che vengono date, che troviamo la maggiore speranza per il futuro.
Negli ultimi tempi, la rilevanza mondiale che si è data alle opinioni e alle azioni di Osama Bin Laden e dei suoi ospiti talebani, ha permesso una nuova e vivida comprensione dell’eclissi di quella che fu la più grande, la più avanzata e la più aperta civiltà nella storia dell’umanità. A un osservatore occidentale, immerso nella teoria e nella pratica delle libertà occidentali, è proprio la mancanza di libertà, la libertà della mente da vincoli e indottrinamenti, di mettere in discussione, investigare e dar voce alle opinioni; la libertà dell’economia da una cattiva gestione corrotta e diffusa; la libertà delle donne dall’oppressione maschile; la libertà dei cittadini dalla tirannia che è alla base di molti dei problemi insiti nel mondo islamico. Ma la strada verso la democrazia, come è ampiamente dimostrato dall’esperienza occidentale, è lunga e ardua e fitta di trabocchetti e ostacoli. Se i popoli del Medio Oriente proseguiranno lungo questa strada, l’attentatore-suicida potrebbe diventare la metafora dell’intera regione e non si potrà più sfuggire a una spirale verso il basso di odio e disprezzo, rabbia e autocommiserazione, povertà e oppressione che, prima o poi, finirà con un’ulteriore dominazione straniera, forse perpetuata da una nuova Europa che si rifà a vecchi metodi, forse da una Russia rinata, forse da una super-potenza asiatica in via di espansione. Ma se riusciranno ad abbandonare rancori e vittimismi, a risolvere le loro divergenze e a mettere insieme i loro talenti, le loro energie e le loro risorse in un unico sforzo creativo, potranno ricostituire in Medio Oriente, adesso come nell’antichità e nel Medio Evo, un importante centro di civiltà. Adesso, la decisione è soltanto la loro.
(Traduzione dall’inglese di Valeria Beltrani)