Il metodo di Ricucci meglio di quello di Buffett - gz
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By: GZ on Martedì 17 Maggio 2005 00:22
Leggo qui che il 9% del Corriere, il 5% della BNL, il 5% di Antonveneta appartebbero ora a questo Stefano Ricucci che avendo iniziato come odontotecnico e senza avere soldi di famiglia ora a 42 anni ha messo assieme due miliardi di euro ed influenza il più importante giornale e due delle banche maggiori italiane
La cosa impressionante è che non è nemmeno un costruttore come Caltagirone, Berlusconi, Ligresti o Zunino: ha fatto solo "trading", compra e vendita di immobili dall'inizio alla fine, per 20 anni ha sempre comprato a 10 e rivenduto a 30 o 40.
Invece di studiare sistemi di analisi grafica o il metodo di investimento di Peter Lynch o di Warren Buffett (che a 42 non erano ancora nessuno), sarà più utile leggere qui sotto come ha fatto questo tecnico dentista partendo da zero ad arrivare a 2 miliardi e alle mani in pasta nei maggiori affari italiani.
Chi ha altre notizie da pubblicare su questo caso è benvenuto
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L'esordio nel 1984, la prima plusvalenza un anno dopo. Oggi il suo gruppo ha un patrimonio di oltre 2 miliardi. Divisi tra immobili e investimenti di peso in Bnl, Antonveneta, Lodi e Rcs.
Stefano Ricucci, 42 anni, un uomo che a un certo punto della sua vita ha deciso di indossare la grisaglia del businessman munito di laurea in economia presso la Clayton University di San Marino.
Un dato è incontrovertibile: Ricucci è al centro delle partite più importanti che appassionano il mondo finanziario. Ha quattro partecipazioni di primo livello in Borsa – Rcs (7,49%), Banca Antonveneta (4,99%), Banca Nazionale del Lavoro (4,98%) e Banca Popolare di Lodi (1,77%) – e sono tutte al centro dei pensieri (nel bene e nel male) di politici, banchieri, risparmiatori e giornalisti.
Ricucci, però, sconta ancora la diffidenza di alcuni, probabilmente legata alla genesi delle sue fortune ufficialmente iniziate nel 1984 con la costituzione della prima società (Atto Notaio Antonio Della Penna - Repertorio n. 1016 - Raccolta n. 252) per la gestione di ambulatori e laboratori clinici.
Se gli si chiede qual è l'origine delle ricchezze la risposta è un aridaje accompagnato da ampi gesti rotatori delle mani. Per rintracciare la prima cospicua plusvalenza bisogna tornare indietro al 1985, quando acquistò dalla società Magnolia 78 a r.l. (Notaio Vincenzo Carosi - Repertorio n. 63657 - Raccolta 22065) un immobile a San Cesareo alle porte di Roma rivendendolo con una differenza di 246 milioni delle vecchie lire, ma tenendo per sé un appartamento che non ha mai lasciato per scaramanzia. Converrà però partire dal 2005 per cercare di dare una risposta al quesito sul suo «tesoro».
LA SVOLTA ITALIANA
Finora, il gruppo che fa capo a Ricucci aveva in cima alla piramide un trust – creato nella primavera del 2004 e i cui beneficiari sono il figlio Edoardo, 12 anni, e la Fondazione Susanna Ricucci, la sorella scomparsa – che controllava la Magiste International (a proposito, Magiste è l'addizione delle iniziali dei nomi dei genitori – Matteo e Gina – e di Ricucci stesso), società di diritto lussemburghese con un capitale sociale di 22 milioni di euro. (Continua)Dalla fine di maggio, a valle di queste due entità, nascerà la italianissima Magiste Holding Spa che avrà un capitale di 200 milioni di euro (cifra molto elevata se paragonata ad alcune blasonate società del segmento Star), mentre quello della Magiste International sarà elevato a 50 milioni di euro. A quest'ultima rimarranno in dote le partecipazioni azionarie, mentre alla Holding riporteranno tutte le altre società del gruppo. Non è l'unica novità. A garanzia della trasparenza, nel consiglio di amministrazione della Holding siederanno quattro professionisti esterni sui sette complessivi.
E VENIAMO AI CONTI
Da due anni i bilanci sono certificati da PriceWaterhouseCoopers e, a giugno, quello del 2004, anche per rispondere alle accuse di «segretezza», sarà presentato alla stampa nel cuore della City milanese con l'assistenza di Lazard. E va in direzione di questa operazione trasparenza anche la decisione di creare un sito Internet mettendo a disposizione i bilanci. Economy ha potuto consultare i risultati al dicembre 2004 e quelli del primo trimestre 2005. Il patrimonio di Magiste supera i 2 miliardi e 200 milioni di euro con una quota di patrimonio mobiliare superiore a quello immobiliare (1 miliardo e 300 milioni a fronte di 910 milioni); i debiti ammontano a circa 750 milioni, con una percentuale quindi ampiamente entro i parametri di riferimento generale, in carico principalmente a Deutsche Bank Ag e Société Générale e, in parte, alla Popolare di Lodi. A garantire l'ingresso di denaro fresco ci sono gli 80 milioni che arrivano da affitti e dividendi. Ricucci conta però su circa 400 milioni cash a disposizione sui conti, oltre a linee di credito non utilizzate per acquisti immobiliari e mobiliari per 1 miliardo e 800 milioni. Che ne farà di tutti questi quattrini?
MATTONE, AMATO MATTONE
A Economy è stato confermato che poco meno di 350 milioni di euro sono stati già investiti per l'acquisto di quattro immobili di «grande pregio» (due a Roma e due a Milano) e che i contratti preliminari sono stati già firmati. (Continua)
CHI SONO I NUOVI CONSIGLIERI
Aria nuova nella holding
Alcuni nuovi ingressi, alcune conferme. Ecco il cda della nascente Magiste Holding Spa. Presidente e amministratore è Stefano Ricucci. I consiglieri sono: l'avvocato Michele Sinibaldi, 55 anni, che ha oltre trent'anni di esperienza e dal '93 affianca il gruppo Magiste; l'avvocato Luca Pompei, 30 anni, orgoglioso nipote di Giorgio e Assunta Almirante, che vanta già un curriculum di tutto rispetto ed è un esperto in ambito internazionale; l'avvocato Vincenzo Damiani, 65 anni, consulente della società Multipartner, componente di board nazionali e internazionali del settore tlc e bancario, top manager di multinazionali attive nell'information technology; l'avvocato Nicola Irti, 37 anni, figlio d'arte (il padre è il professor Natalino) che ha già accumulato incarichi prestigiosi; il professor Guglielmo Fransoni, 40 anni, ordinario di diritto tributario all'Università di Foggia e avvocato tributarista; il ragionier Luigi Gargiulo, 42 anni, direttore finanziario di Magiste e tra i principali collaboratori di Ricucci.
Sugli immobili conviene fare un approfondimento. Perché probabilmente aiuta a dare una risposta alla domanda delle domande: da dove arrivano tutti questi soldi? Come ha fatto Ricucci a moltiplicare i quattrini in così poco tempo? Il periodo centrale dello sviluppo è certamente quello a cavallo tra la seconda metà degli anni 90 e il nuovo secolo. E si muove parallelamente sui fronti immobiliare e borsistico.
Alcuni esempi. Nel '99, Magiste compra a Roma un centro residenziale a Talenti da un gruppo assicurativo francese per 17 miliardi di lire, rivendendolo per circa 50 miliardi; nel 2000 acquista Palazzo Bonaparte in piazza Venezia 5 a Roma per 37 miliardi e poco dopo lo rivende per 90 miliardi. Significano plusvalenze per 86 miliardi di lire. Ma come fa un immobile a triplicare il suo valore in un così breve lasso di tempo? «La qualità premia sempre» ripete Ricucci. E spiega: «Gli edifici di pregio, in piazza del Popolo o al Duomo, sono irripetibili. Hanno un valore che nel tempo può solo crescere, altro che bolla. Bisogna però valorizzarli attraverso opere di ristrutturazione anche radicale, con coraggio. Ed è necessaria una struttura che sappia gestire questi affari».
Succede così che, a Milano, Magiste abbia declinato un'offerta per 117 milioni di euro per vendere il palazzo Meliorbanca in via Borromei comprato per 85 milioni nel luglio del 2004, e che abbia detto «no grazie» ai 63 milioni offerti per cedere un immobile in via Silvio Pellico acquistato un anno fa con un esborso di 35 milioni. Insomma, una galoppata che è andata di pari passo con la crescita e l'autorevolezza del gruppo che entro il prossimo anno aprirà sedi a Parigi e Londra e che già conta in campo internazionale rapporti consolidati con banche del calibro di Société Générale e Deutsche Bank Ag, oltre a un advisor di rango come Lazard.
«L'EDITORIA, IL MIO PALLINO»
Sul versante azionario il discorso non cambia. Dal 1996 a oggi, Magiste ha avuto partecipazioni rilevanti in 16 aziende (tra queste Capitalia, Olivetti, Hopa) e non si è mai ritirata senza incassare discrete o esorbitanti plusvalenze (su tutte quella di oltre 100 milioni di euro per uscire da Capitalia). (Continua)
PUNTI DOLENTI
Dall'origine dei capitali alle ultime accuse sul risiko bancario: È un fatto che dove Ricucci ha comprato azioni il titolo sia schizzato verso l'alto, raddoppiando in molti casi la quotazione. E qui arriviamo a un altro chiodo fisso di Ricucci, riassumibile in un dogma: creare valore per tutti, distribuire dividendi. In questo campo, l'immobiliarista si è trovato più volte al fianco di Emilio Gnutti, con il quale il rapporto, iniziato nel 2000, si è interrotto tra il 2002 e il 2004 a causa di una querelle su alcuni immobili, per altro risolta prima di arrivare al cospetto di un giudice.
Ma non è neppure vero che i due, anche in tempi di pace, abbiano sempre fatto fronte comune; prova ne è che Magiste non ha partecipato a diverse operazioni (Snia su tutte) in cui il finanziere l'avrebbe invece voluto al suo fianco. Nell'ottica di investimenti altamente redditizi non deve quindi destare sorpresa se, nel 2004, Ricucci sostiene di aver rifiutato l'invito a far parte del fondo Charme (di cui Luca Cordero di Montezemolo è il deus ex machina e dove sono presenti Diego Della Valle, Isabella Seragnoli, Vittorio Merloni, Nerio Alessandri, Unicredit, Mps e Deutsche Bank) versando una quota pari a 100 milioni di euro: gli avrebbe reso l'1,5% all'anno, troppo poco.
«Se fossi uno speculatore, se volessi stare nell'ombra, perché dovrei comprare il 5 o il 7% di una società? Starei accucciato sotto il 2% come fanno tanti» ragiona Ricucci. E aggiunge: «Le mie partecipazioni sono cementificate nel tempo. Non sono in vendita. Anzi. Sono totalmente sinergiche alle mie attività».
Insomma, il modello Ricucci prevede che i due comparti (mobiliare e immobiliare) si muovano insieme, travasando l'uno acqua all'altro. Già, ma come può essere considerata sinergica agli immobili la quota del 7,49% in Rcs, società che edita il Corriere della Sera, dove Ricucci è il terzo azionista dietro Mediobanca e la Fiat? «Quello dell'editoria è un mio pallino, mi piace diversificare. Ma con l'obiettivo di creare valore: quando sono entrato due anni e mezzo fa il titolo viaggiava sotto i 2,5 euro, oggi sfiora i 5. La quota in Rcs sarà sempre più importante nel gruppo Ricucci. A dimostrazione del fatto che non ho alcun pregiudizio, mi sono recato negli ultimi due anni in assemblea approvando il bilancio. E poi smettiamola con questa storia della mia richiesta di entrare nel patto: non è vera. Poi è ovvio che se, da terzo, dovessi diventare il secondo o il primo azionista in Rcs sarò io a chiamare e non aspetterò inviti…».
GIÀ, I GIORNALI
«Non ce l'ho con chi scrive. Mi dà fastidio però la malafede, la censura sui fatti, i conflitti di interesse palesi tra editori e giornalisti. Chiedo rispetto. E regole uguali per tutti: dagli Agnelli a Ricucci. Perché si smetta di distribuire patenti di credibilità a chi vende scarpe, negandole a chi vende immobili». (Continua)
L'AFFARE ENASARCO
Gran parte dell'attenzione sui giornali, Ricucci l'ha attratta da quando partecipa al risiko bancario. In Bnl (dove non ha conti correnti) sta al fianco di Francesco Gaetano Caltagirone, contrasta il patto tra Bilbao-Generali e Diego Della Valle. Eppure nel maggio 2004 disse di «riconoscersi totalmente» nel patto e «in primis nel presidente Luigi Abete». Lui liquida la questione in una battuta («Io non sono cambiato, sono cambiati loro») e rimanda la rottura alla mancata consultazione sul patto di sindacato e all'aumento di capitale non condiviso. Su Antonveneta (anche qui nessun conto), l'impegno affonda le radici nel rapporto privilegiato con la Popolare di Lodi cresciuto con Gianpiero Fiorani, conosciuto nel 2000. Che gli ha spianato la strada anche in Bankitalia, grazie all'eccellente rapporto con il governatore Antonio Fazio.